Giorno 23: Nara, derubate dai cervi


Quando si parla di Nara forse non tutti sanno che essa è stata la prima capitale permanente del Giappone. Città ricca di storia e tradizioni, oggi richiama turisti da tutto il mondo affascinati dai suoi templi, primo fra tutti il Todaiji con il suo enorme Buddha, il più grande del Giappone tra quelli in bronzo in posa seduta (è divertente vedere come ogni paese del Giappone trovi differenti escamotage per avvalersi del titolo di città con il Buddha più grande 😂).
 

Sebbene questo già da solo basterebbe a giustificare una visita, devo ammettere che a spingerci quella ventitreesima mattina in Giappone non è stato l'interesse per la storia, nè tanto meno quello per l'arte. Il nostro obiettivo della giornata era solo uno: fare una foto con i cervi che girano indisturbati per il parco di Nara.


Secondo un'antica leggenda Takemikazuchi no mikoto, dio del santuario di Kashima e protettore delle arti marziali, invitato a recarsi presso il santuario Kasuga Taisha di Nara, arrivò in città a cavallo di una cerva bianca. Da allora a Nara i cervi sono sempre stati considerati animali sacri in quanto messaggeri degli dei, tanto che in passato chiunque uccidesse un cervo veniva condannato a morte.

© 朝日新聞デジタル
Già dall'arrivo in stazione (da Osaka sono 50 min di treno prendendo la JR Yamatoji line) si nota subito come questi animali siano i veri protagonisti a Nara. Oltre a essere raffigurati su tutti i tombini della città, camminando per le strade siamo state quasi bombardate da cartelloni e pubblicità con protagonista Shikamaru-kun, il cervo mascotte di Nara.

 



Appena scese dal treno, ci siamo recate all'ufficio turistico per ottenere una mappa della città (gli unici ad avere una mappa in italiano! Avrete per sempre la mia stima!) e anche qui ad accoglierci al bancone c'era un peluche di Shikamaru-kun. Insomma questa mascotte era ovunque, almeno gli si può dare il merito di essere carina, non come quell'orrore di Sarubobo a Takayama.


Il parco di Nara, dove si trovano i principali templi cittadini, dista dalla stazione una ventina di minuti a piedi. Quel giorno, a differenza di tutto il resto del viaggio, faceva un caldo assurdo. Abbiamo percorso la strada che ci separava dal parco con le giacche legate alle borse. Sembrava una giornata primaverile, invece l'inverno era quasi alle porte.
Il primo tempio che abbiamo visitato durante la giornata è stato il Kofukuji. Si trova proprio all'ingresso del parco di Nara ed è subito riconoscibile grazie alla sua pagoda a 5 piani in legno scuro.


Una lunga scalinata conduceva prima ad alcuni Jizo e poi al tempio vero e proprio. Ci siamo fermate a lavare con dell'acqua una statua e a chiedere una benedizione per il proseguimento del viaggio, prima di procedere oltre.



Il complesso era composto da tre edifici principali: un padiglione di forma ottogonale, una pagoda e il padiglione principale detto Tokondo il quale custodiva le due principali icone votive del tempio, Yakushi Nyorai e il Bodhisattva Manjusri.




Proseguendo all'interno del parco verso il tempio successivo abbiamo finalmente incontrato i primi gruppetti sparuti di cervi. La nostra reazione è stata come quella di due bambine che vengono portate allo zoo per la prima volta. " I cervi! Guarda ci sono i cervi!"
Nonostante i cartelli sparsi per il parco facessero supporre il contrario, i cervi sembravano docilissimi. Ti guardavano con certi occhioni che era impossibile non amarli da subito. Nonostante io non abbia nessuna dimestichezza con gli animali, non avendo mai avuto animali domestici, allungare una mano per accarezzarli mi è venuto quasi automatico.



Mia sorella mi ha guardato terrorizzata: "Ma che fai? E se ti mordono?"
Ma come avrebbero mai potuto quei cervi adorabili fare del male a qualcuno?
Il manto sotto i polpastrelli risultava soffice e setoso, inoltre era talmente lucido che sembrava incredibile che quelli fossero animali selvatici. I cervi camminavano tranquillamente tra le persone, le avvicinavano e si lasciavano coccolare senza opporre la minima resistenza.


Dopo un pò di titubanze alla fine anche mia sorella si è fatta convincere e ha iniziato ad accarezzarli. Eravamo finalmente pronte per scattare la tanta agognata foto!
Abbiamo fatto un tentativo, poi un altro e un altro ancora ma era tutto inutile, non c'era verso di far guardare i cervi in direzione della macchina fotografica. Pensavamo sarebbe stato facile, invece appena avvicinavi il cellulare ecco che subito giravano la testa dall'altro lato. Che fossero timidi?


Arreseci, abbiamo deciso di proseguire oltre in direzione Todaiji, sicure che inoltrandoci sempre di più all'interno del parco, avremmo trovato sempre più cervi e quindi più possibilità di riuscire a fare la foto.
Effettivamente durante il tragitto il numero di cervi non ha fatto che moltiplicarsi insieme al numero di bancarelle gestite da signore con giacca bianca e cappellino blu che vendevano i biscotti da dare da mangiare ai nostri nuovi amici a quattro zampe.


Sarei stata tentata di comprarli anch'io se non avessi visto la reazione dei cervi a tal proposito. Abbiamo visto una ragazza fare appena in tempo a comprarli che già era stata letteralmente circondata e assediata da una moltitudine di cervi che quasi le sbranavano una mano per arrivare ai biscotti. Quando poi ha fatto lo sfortunato sbaglio di alzare il braccio per allontanare i pochi biscotti rimasti, un cervo quasi le è saltato addosso per riuscire a mangiarli. E in quel momento è stato chiaro anche il perchè dei cartelli che segnalavano il pericolo.


Mentre ero ancora lì a guardare la scena incredula ad un certo punto mi sono sentita tirare il braccio.  Con stupore mi sono accorta che un cervo aveva appena addentato la mappa di Nara che tenevo in mano. Avrà anche avuto un musino adorabile ma era un cervo ingordo e ladro, come aveva potuto mangiarsi la mia mappa solo perchè non c'erano nei paraggi altre persone con i biscotti?


Ho provato a riprenderla ma ho subito desistito capendo che non l'avrei mai più riavuta indietro. I suoi denti avevano una presa micidiale. Se avesse morso la mia mano invece che la mappa non sono sicura oggi avrei ancora tutte le dita attaccate al loro posto.
Alla luce di ciò mi sento di dare un consiglio a tutti coloro che visiteranno o hanno intenzione di visitare Nara: non date da mangiare ai cervi! E per quanto possibile evitate di tenere qualunque cosa in mano che possa fargli supporre che avete del cibo con voi. Diventano subito aggressivi. So che molti comprano i biscotti per avvicinare i cervi ma vi assicuro che non è affatto necessario. Si avvicineranno a voi e si faranno coccolare anche se non avete niente da offrirgli, anzi lo faranno in modo molto più docile e pacato.


Un esempio di ciò è la cerva che abbiamo incrociato appena varcato il portale d'ingresso al Todaiji. Se ne stava seduta tranquilla sullo scalino più alto e nonostante l'abbiamo "molestata" per un bel pezzo perchè si facesse un selfie con noi, non si è spostata di un millimetro, anzi ci ha concesso persino un bel primo piano con il tetto del portale sullo sfondo.


Raggiunto il nostro obiettivo "foto con cervo" prima del previsto, abbiamo quindi deciso che era il momento di concentrarci sui templi. Davanti a noi si ergeva il padiglione principale del Todaiji (da noi soprannominato Tempio cornuto), dovevamo solo varcare la soglia.


La sala presentava al suo interno varie statue, ma nessuna era grande ed imponente come il Buddha in bronzo posto al centro della struttura.
Forse per il fatto che fosse in posizione sopraelevata e incassato tra le colonne in legno del tempio non riuscivo davvero a rendermi conto se esso fosse effettivamente più grande del Buddha di Kamakura ma più piccolo di quello del monte Nokogiri come si diceva.


Visto non era possibile avvicinarsi alla statua più di tanto, non siamo riuscite a fare un paragone usando l'altezza di mia sorella come metro come avevamo fatto nei casi precedenti, nonostante ciò abbiamo trovato comunque una via alternativa per farci un'idea delle reali dimensioni della statua utilizzando sempre mia sorella come strumento di misura.
All'interno del padiglione si trovava una colonna che presentava alla base un foro. Tale foro era, a quanto pare, grande quanto una narice del Buddha. Leggenda vuole che chiunque riesca a passare attraverso quel foro otterrà l'illuminazione.
 

Quando siamo arrivate quasi la metà dei visitatori del tempio erano radunati attorno alla colonna.  Appena individuato il foro mi è stato subito chiaro che io l'illuminazione non l'avrei mai ottenuta. Essa era prerogativa dei bambini e delle persone magre. Almeno mia sorella poteva provare a passare. L'ho convinta a mettersi in fila nonostante le sue reticenze (era convinta di rimanere incastrata a causa dei suoi fianchi) e ho fatto il giro della colonna per immortalare il momento in cui avrebbe visto la luce.


Quando finalmente è toccato a lei la sua più grossa difficoltà è stata di trovare la posizione adatta delle braccia per darsi la spinta e attraversare la colonna. Dopo un primo tentativo ha poi capito come fare, cambiando posizione in corso d'opera e riuscendo a passare senza problemi. Alla fine abbiamo appurato che una narice del Buddha era grande esattamente quanto la circonferenza dei suoi fianchi.


Lasciato il padiglione principale abbiamo poi proseguito la visita attraverso il parco, raggiungendo il Nigatsudo e il Sangatsudo, due padiglioni distaccati facenti sempre parte del complesso del Todaiji.
Diversamente dal padiglione principale questi due edifici non erano assediati dai turisti e anzi creavano quasi una sorta di oasi di pace in mezzo al caos che c'era nel resto del parco. Ce li siamo goduti con calma, salendone le scale per raggiungerne il terrazzo sopraelevato da cui si vedeva la città e gli alberi che li circondavano e poi visitandone gli interni.




Abbiamo proseguito la passeggiata attraverso il parco sempre circondate dai nostri amici cervi fino a raggiungere una zona ristoro con due ristoranti. Uno era stato realizzato dentro un'adorabile casina con tetto in paglia e sedute all'aperto in stile giapponese, ma avendo prezzi più alti dell'altro abbiamo optato per il secondo.


Abbiamo ordinato i piatti tipici della zona: due ciotole di kitsune udon e warabi kuzumochi per dessert.
Come ho già detto in un post precedente, io adoro gli udon, sono in assoluto la mia pasta giapponese preferita, ma devo ammettere che anche in questo caso il piatto preso non mi è piaciuto molto. Erano sicuramente migliori di quelli provati ad Arashiyama, ma comunque non eccezionali, inoltre il brodo era un pò sciapo e acquoso e non è che il tofu fritto aggiungesse alcun che al piatto.
Non riuscivo davvero a capire se fosse un problema di sfiga, per cui ogni volta che ordinavo udon mi presentavano una schifezza o se invece il problema era che, senza saperlo, a me gli udon piacevano solo alla piastra e da quando ero in Giappone avevo ordinato solo udon in brodo.


Per quanto riguarda i warabi kuzumochi anche quelli mi hanno abbastanza deluso. 
I mochi sono dolcetti che solitamente sono fatti con farina di riso e che a me piacciono molto, ma in questa variante del piatto essi sono invece fatti con amido di felce, il quale ha una consistenza molto più gelatinosa ed è quasi insapore. Proprio per questo prima di essere mangiati vanno estratti dall'acqua e cosparsi di kinako (farina di soia tostata), anko (marmellata di fagioli rossi) e kuromitsu (sciroppo di zucchero di canna). Nonostante io ami questi tre ingredienti ed essi erano ciò che dava effettivamente sapore al dolce, la consistenza fin troppo gelatinosa e molliccia dei mochi a lungo andare ha finito per disgustarmi.


Ripresa la marcia siamo infine giunte al santuario Kasuga Taisha. Questo santuario si trova alle pendici del monte Mikasa e ospita gli altari di quattro divinità: il sopracitato Takemikazuchi no mikoto, Futsunushi no mikoto, dio protettore delle arti marziali che prevedono l'uso di spade, Amenokoyane no mikoto, dio della saggezza e della divinazione e sua moglie Himegami.
 


Ciò che mi ha colpito di più di questo santuario è stata sicuramente la quantità spropositata di lanterne, oltre 3.000, che i fedeli, al pari dei torii del Fushimi Inari, hanno donato al santuario. Realizzate in pietre e in bronzo, di forma simile ma in realtà tutte diverse l'una dall'altra, esse si trovano stanti o appese lungo l'area sacra. Visitando i vari edifici del complesso ne abbiano trovate anche un piccolo gruppo dipinte d'oro, mentre all'interno di una sala del santuario totalmente buia era possibile vederle accese, ognuna a rischiarare la via con la sua diversa decorazione.





Forse perchè da lì a poco si sarebbe tenuta una festa, quando abbiamo visitato il Kasuga Taisha in giro c'era moltissimo fermento. Un negi correva da una parte all'altra del santuario, offerte di cavoli e rape si accatastavano all'ingresso dei padiglioni e una giovane miko con un delizioso copricapo realizzato con i glicini intrecciava fasci di foglie verdi.




L'atmosfera era gioiosa e vivace, tanto che mi è un po' dispiaciuto dover tornare indietro per prendere il treno per rientrare a Osaka.
Lasciato il parco, abbiamo perso ancora un po' di tempo sulla via che collegava quest'ultimo alla stazione, soffermandoci a visitare vari negozietti. Abbiamo fatto alcuni acquisti tra cui souvenir di Shikamaru-kun e del Kakinoha zushi, un tipo di sushi tipico di Nara che si caratterizza per venire conservato avvolto in foglie di cachi.
 

Ci abbiamo cenato quella sera e vi assicuro che è stato il pasto migliore della giornata. Le foglie di cachi svolgono un'azione antibatterica e permettono al pesce di rimanere fresco più a lungo, fondamentale in una città come Nara che non ha sbocchi sul mare. Esse inoltre aggiungono al sushi una speciale aroma che lo rende ancora più buono. Io devo ammettere che l'ho preferito di gran lunga al comune sushi comprato al supermercato in Giappone.



Sempre sulla via del ritorno la nostra attenzione è stata poi catturata da un negozietto che vendeva mochi appena fatti. Quello che suppongo fosse il proprietario, dava dimostrazione, ogni 10 minuti, della preparazione dell'impasto per realizzare questi dolci.



Devo dire che effettivamente era alquanto spettacolare. Bastava che il tuo sguardo si posasse per un secondo su di lui mentre era al lavoro e finivi per fissarlo sbalordito, tra l'incredulità di ciò che vedevi e l'ansia che si facesse male, finchè non avevava finito.
Quando siamo arrivate noi attorno al negozio c'era già un gruppetto di persone ma ciò non ci ha impedito di avvicinarci abbastanza da vedere come con una velocità e coordinazione che sembrava avere poco di umano, quell'uomo riuscisse a impastare il morbido composto di farina di riso inserendo le mani tra una martellata e l'altra dei colleghi. Guardare per credere.


Rientrate infine in hotel e consumato il nostro sushi, eravamo pronte ad andare a letto chiudendo la giornata con un bilancio positivo, almeno finchè i segni dell'illuminazione che mia sorella aveva ricevuto passando da quel foro nella colonna del Todaiji non hanno fatto la loro comparsa sul suo braccio sotto forma di un enorme ematoma.


Era il risultato del cambio di posizione delle braccia che aveva effettuato all'interno della colonna per riuscire a tirarsi fuori, o forse era solo la prima lezione di quello che la visita che avremmo svolto da lì a poco al Koyasan, cuore del buddismo shingon, ci avrebbe insegnato con estrema chiarezza: non si ottiene nulla senza sacrificio.

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Al prossimo post dove vi parlerò di una meta un po' fuori dai soliti itinerari turistici: Minoh.

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