Giorno 30: Tokyo, l'ultima foto prima della fine

La fine di un viaggio lascia sempre dentro un misto di emozioni contrastanti. La gioia si mescola alla tristezza, la nostalgia di casa alla voglia di rimanere ancora.
L'ultimo giorno a Tokyo ricordo di averlo affrontato con tutte queste sensazioni aggrovigliate alla bocca dello stomaco. La voglia di vivere a pieno quelle ultime ore, di godermele con calma approfittandone per fare gli ultimi acquisti, e per respirare la città meno da turista e più da normale ragazza che la domenica pomeriggio va a fare un giro in centro con le amiche, faceva a cazzotti con la sensazione negativa di una fine imminente. Il tempo del viaggio stava per terminare, dal giorno dopo avrei dovuto ricominciare la mia normale vita di tutti i giorni. Il punto era: cosa mi attendeva?
All'epoca non riuscivo a vedere nulla davanti a me, il futuro mi appariva più grigio e nebbioso che mai. Non che a distanza di due anni la situazione sia molto diversa.
Ciò che è cambiato è forse che ho scelto di guardare al problema da una diversa prospettiva e alla fine ho preso delle decisioni, forse azzardate, ma che sapevo mi avrebbero reso felice.
E così è stato in fondo anche quel giorno. Potevo continuare a piangermi addosso, ma ho deciso invece di mettere piede fuori dall'hotel e cominciare il giro dei negozi proprio da Ikebukuro.

© Yabai
Ikebukuro è il quartiere che avevamo visitato il nostro secondo giorno a Tokyo e nel quale si trova lo Swallowtail. Tranquilli non ci sarà nessuna seconda visita al butler cafè. Come vi avevo già detto una volta è stata più che sufficiente.
Ciò che invece abbiamo fatto è stato prendere d'assalto i sette piani del Don Quijote, una sorta di duty free aperto 24h e dai prezzi generalmente abbastanza popolari. Ci abbiamo passato dentro delle ore e posso assicurarvi che vendeva praticamente di tutto, ma come succede spesso in questi casi, il troppo stroppia e alla fine siamo uscite di lì totalmente in confusione e senza aver comprato niente. Praticamente come ogni volta che vado alla Fiera dell'Artigianato a Firenze.

© Where in Tokyo
All'interno del negozio, le cose che hanno davvero attirato la mia attenzione sono state principalmente due. Il primo è un prodotto che già solo per il fatto di esistere ed essere in commercio merita senza dubbio di essere citato: il cioccolato di Willy Wonka.


I bambini giapponesi devono essere i più felici del mondo. In questo paese tutto ciò che si può immaginare si può anche realizzare e commercializzare. O forse siamo noi italiani che non abbiamo fiuto per gli affari.
L'altra cosa che cercavo da una vita e che avrei davvero voluto comprare era un kigurumi, un pigiamone a tuta con cappuccio raffigurante personaggi dell'animazione giapponese o americana. Purtroppo il prezzo non era così favorevole. Si vedeva la buona fattura e la qualità del tessuto ma spendere  3990 yen (all'epoca poco meno di 40 euro) per un pigiama mi sembrava davvero eccessivo.


Quando siamo infine riemerse dal Don Quijote eravamo talmente stremate che tutto quello a cui riuscivamo a pensare era di andare a mangiare.
Ci siamo rese conto che pur avendo trascorso un mese in Giappone le volte che avevamo mangiato sushi potevano contarsi sulle dita di una mano. Dovevamo recuperare.
Abbiamo scelto di fermarci nel ristorante di un omino il cui faccione sorridente continuava a comparirci davanti ovunque durante il viaggio.


Abbiamo ordinato due set identici con ben 15 pezzi l'uno alla modica cifra di 8 euro. Roba che in Italia si può solo sognare. Inutile dirvi che sia la varietà che la freschezza del pesce non sono minimamente paragonabili. Per non parlare della grandezza delle porzioni. Forse la foto non rende l'idea ma posso assicurarvi che io facevo fativa ad infilarmi un pezzo intero di sushi in bocca da quanto era grande.


L'unica cosa che rimpiango è che alla domanda della cameriera riguardo a se volevamo il wasabi o meno abbiamo risposto di si. In Italia il wasabi viene portato a parte insieme allo zenzero e aggiunto a discrezione del cliente. In Giappone invece esso viene inserito dallo chef nel sushi, tra il riso e il pesce. Ciò significa che se c'era sushi in cui la quantità di wasabi era accettabile e non dispiaceva, c'erano dei pezzi che ti sturavano letteralmente le orecchie appena li infilavi in bocca.
Sia io che mia sorella abbiamo provato l'esperienza nostro malgrado e non è stato piacevole.


Dopo pranzo ci siamo spostate nel quartiere di Harajuku dirette a Takeshita dori. La sirenetta che ci aveva accolte durante la prima visita era stata sostituita da un dinosauro che portava pacchi regalo.
Sempre affollata, devo dire l'ho trovata molto più vivibile rispetto alla prima volta, ma è anche vero che era martedì e non domenica come la volta precedente.
 

Abbiamo visitato vari negozietti lungo la via e ci siamo perse all'interno dei 3 piani del Daiso, il negozio dove tutto costa 100 yen (circa 1 euro).
 
© Planetyze
Tra i tanti negozietti di Takeshita dori mia sorella è riuscita a trovarne persino uno, sebbene un po' nascosto, a tema panda. Non vi dico quante ore e pazienza mi ci ha fatto perdere. Era un negozietto piccolissimo, non sarà stato più di 9X12 m, eppure lei non riusciva ad uscirne. Continuava a rigirare in tondo senza decidersi su cosa comprare. Erano meglio i guanti a forma di panda, le calze o i peluche?




Alla fine l'unica che ha comprato davvero qualcosa di utile sono stata io: un ombrello trasparente. Come dite: ma non ne avevo già comprato uno a Kyoto?  Non giudicatemi.
Pensate che in Italia sia così facile trovare ombrelli trasparenti o su cui spuntano le figure quando piove e scompaiono con il sole? E poi gli ombrelli sono sempre utili, non si può mai sapere quando si romperà il precedente, per cui è bene averne di scorta.

© guidemika.blogspot.com
Ci siamo infine spostate a Shin-Okubo, il quartiere coreano, per andare a fare scorta di prodotti di bellezza. Abbiamo comprato 30 maschere per il viso spendendo solo 8 euro. Se avete fatto un giro in un negozio di make up in Italia sapete bene che il prezzo per una sola di queste maschere si aggira intorno ai 3,50 euro. Capite bene che era l'offerta del secolo!
Soddisfatte degli acquisti fatti abbiamo deciso di trascorrere le ultime ore della nostra permanenza a Tokyo all'interno di un cafè, e per l'occasione abbiamo scelto il Coffe Prince.
 

Per chi non è avvezzo alle serie tv coreane questo nome suonerà totalmente anonimo e poco interessante. Ma per noi, e in particolare per mia sorella, quel nome era il titolo di una delle serie tv più divertenti e appassionanti di sempre. In quella serie mia sorella aveva scoperto uno dei suoi attori coreani preferiti: Gong Yoo.

 

Sebbene questo attore piaccia molto anche a me e lo trovi molto bravo, in questo drama ciò che ho apprezzato davvero è stata la recitazione dell'attrice protagonista. L'ho trovata estremamente credibile, molto di più di tante altre attrici che hanno recitato ruoli simili. 
Forse come molti di voi avranno già intuito questo drama non brilla per una trama particolarmente originale, anzi si inserisce in un filone ben collaudato (anche se considerando quanto tempo è passato dalla messa in onda forse è stata una delle prime serie tv coreane di questo genere). Sto parlando della commedia gender bender, in cui cioè la protagonista femminile della storia si fa passare per un ragazzo.


La storia parte dall'incontro casuale tra i due protagonisti, in cui lui scambia lei per un uomo a causa del suo atteggiamento mascolino e del suo modo di vestire. Come da perfetto clichè coreano ovviamente lui è ricco sfondato e lei una poveraccia che si deve fare in quattro per mantenere la famiglia. Quando lui decide di iniziare un'attività e apre una caffetteria (il Coffee Prince) decidendo di assumere solo bei ragazzi in modo da attirare la clientela femminile, lei approfitta dell'equivoco per farsi assumere. Con il tempo i due si avvvicineranno sempre di più e lui inizierà a farsi milioni di domande sul suo orientamento sessuale visto che si sente attratto da qualcuno che lui crede essere un uomo.


Ciò che a mio avviso rende interessante questa storia non è tanto la trama quanto il modo in essa viene sviluppata, inoltre a differenza di molti altri drama coreani di questo genere, in cui davvero si fa fatica a credere che la protagonista possa essere scambiata per un ragazzo, qui non risulta affatto difficile. In questo l'attrice protagonista è estremamente brava.


Per cui quando abbiamo saputo che nel quartiere coreano di Tokyo era stato allestito il Coffee Prince, abbiamo deciso che volevamo visitarlo.
A differenza del Coffee Prince del drama che si sviluppava su due piani e aveva l'ingresso al piano terra, il Coffe Prince di Shin-Okubo si trovava al terzo piano di un palazzo. Seppur non esattamente identico, il locale cercava di ricreare l'atmosfera del cafè del drama: disegni sulle vetrate, girasoli ovunque, e bei ragazzi coreani dietro il bancone.



Abbiamo preso posto vicino alla vetrata e, consultato il menù, abbiamo ordinato il set più economico che abbiamo trovato, infischiandocene che si trattasse di un set per coppie. Esso comprendeva un cappuccino, un succo di frutta, un waffle e un gelato in stile tradizionale giapponese con anko, ananas e oreo.
Ciò che ci ha più colpito quando sono arrivati i vassoi è stata l'eccezionale bravura con cui i ragazzi al bancone avvano decorato i piatti. Il cappuccino aveva disegnato sulla schiuma il viso sorridente di Winnie the Pooh, mentre sul piatto c'era un Olaf intento ad odorare il profumo dei waffle. Erano bellissimi e veramente simili agli originali.



Siamo rimaste sedute ad assaporare il momento sorseggiando le nostre bevande per un tempo che non riuscirei a definire. 
Dopo ventinove giorni in cui non avevamo fatto altro che correre, ritrovarsi all'improvviso a non avere fretta, a poter fare le cose con calma, ha rimesso in moto tutte quelle emozioni contrastanti che sentivo dalla mattina e che avevo messo a tacere.  Fare un bilancio era inevitabile. Ho ripensato all'esperienza vissuta, ai luoghi visti, alle persone incontrate, alle difficoltà superate, e nello stesso momento ho sentito forte la nostalgia e la tristezza di qualcosa di bello che stava per concludersi. In qualche modo non ero ancora pronta a lasciare andare tutto. Avevo bisogno di più tempo, c'erano ancora così tante cose che volevo vedere. Ma non volevo più correre. Volevo godermele con calma, approfondirle, sviscerarle, assaporarle, non conoscerle solo superficialmente come fino a quel momento. Eppure di tempo non ce n'era. Era davvero arrivato il momento di tornare a casa.
L'ultima foto scattata alla fermata del treno della JR Yamanote line di Shin-okubo prima di lasciare definitivamente Tokyo credo rispecchi chiaramente come mi sentivo, un sorriso accennato e occhi lucidi, di chi lascia andare con difficoltà qualcosa di bello.


Tornate in hotel e caricateci delle nostre pesanti valigie abbiamo finito con il prendere il treno all'ora di punta, quando tutti i giapponesi rientrano da lavoro. Con il treno già pienissimo non vi dico la fatica di riuscire ad entrare dentro il vagone, in due occupavamo lo spazio di quattro persone. Mi sbaglierò ma penso che in molti ci abbiano odiato in quel momento.
Quando abbiamo finalmente raggiunto l'aeroporto di Narita il treno si era praticamente svuotato.


Il nostro volo sarebbe partito l'indomani mattina, per cui avevamo deciso di concederci l'ultimo ricordo di vita giapponese andando a dormire in un capsule hotel all'interno dell'aeroporto.
I capsule hotel sono alberghi pensati principalmente per una notte, per chi ha perso l'ultimo treno o è in attesa dell'aereo del giorno dopo. Hanno una struttura essenziale, con molte zone comuni e dei dormitori in cui i letti vengono sostituiti dalle capsule, degli spazi privati inseriti nella parete come se fossero le celle di un alveare.


Il motivo per cui abbiamo scelto di dormire in questo capsule, oltre per la sua posizione strategica e per il prezzo economico, è stato perchè a differenza di tanti altri capsule hotel dall'aria vecchia e poco curata, questo aveva un design futuristico quasi da navicella spaziale e tutti gli ambienti sembravano spaziosi ed estremamente puliti.



Al check-in si veniva separati per sessi,  gli uomini entravano nella porta di sinistra, le donne in quella di destra. Per ovvie ragioni posso raccontarvi solo com'era la zona femminile, ma credo comunque che quella maschile fosse speculare. Al check-in abbiamo ricevuto la chiave di un armadietto e un set con asciugamano, ciabatte, pigiama, spazzolino e dentifricio. Una volta dentro nella prima sala si trovavano i lockers. Trovato il nostro numero abbiamo depositato dentro i valigioni e tutte le cose non necessarie e abbiamo proseguito.
 
© ninehours.co.jp

© ninehours.co.jp

Nella seconda sala si trovavano tutti i wc (ovviamente quelli tecnologici giapponesi) e di fronte ad essi si trovava una parete con specchio davanti la quale si trovano fino a metà i lavandini, il resto della parete era occupata da una mensola per truccarsi. Siamo entrate nella terza stanza per andare a farci una doccia. Ogni doccia era gigantesca e comprendeva un ingressino che faceva da spogliatoio e prodotti per il bagno in formato vendita.

© ninehours.co.jp

© ninehours.co.jp

Una volta rinfrescateci e messi i pigiama fornitici ci siamo infine dirette verso il dormitorio. Ve l'ho detto, non so perchè, ma a me queste capsule davano tanto l'idea di un'astronave.
Abbiamo individuato le nostre, che erano al secondo piano, e ci siamo tuffate dentro. Devo dire che erano molto più spaziose di quello che mi aspettassi e per nulla claustrofobiche. Si ci stava comodamente seduti. Inoltre non presentando televisori all'interno come in altre strutture, erano molto silenziose, ideali per riposare. Con un pulsante era possibile simulare il rumore del mare e con un altro cambiare l'intensità della luce.


Posso assicurarvi che ci ho dormito da Dio, meglio che in tutti gli altri hotel dove sono stata in un mese di viaggio, per non parlare della doccia che è stata davvero una manna dal cielo.
In conclusione lo straconsiglio. Non per lunghe permanenze, visto bisogna rifare il check in ogni giorno, ma per una notte, soprattutto se, come noi, avete un volo la mattina presto, è davvero l'ideale.
Dire definitivamente addio al Giappone, pensando che non ci sarei più tornata, per me è stato alquanto straziante.


Eppure a volte la vita fa strani giri. Se all'epoca di quel viaggio, ormai due anni fa, mi avessero detto che ora starei scrivendo quest'ultimo post seduta sul letto della mia camera a Tokyo non ci avrei creduto. Fatico a crederci tutt'ora. Non so ancora dirvi se la strada che ho deciso di intraprendere sia quella giusta, sono arrivata ancora da troppo poco e ogni ostacolo sembra insormontabile. Vivere qui non è affatto come venirci in viaggio. Ma per ora non mi pento. Qui anche le piccole cose diventatno conquiste, si impara ad arrangiarsi e a migliorarsi, e comunque per ogni cosa brutta ce ne sono almeno dieci belle per cui vale la pena di sforzarsi.
Per cui, per tutti quelli che hanno letto e amato i post sul Giappone, state tranquilli, questa non è la fine. Questo racconto di viaggio si è concluso, ma vivendo qui avrò la possibilità di mostrarvi altri aspetti di questo Paese e farvi conoscere nuove città. Ho già iniziato ad esplorare, per cui aspettatevi presto nuove foto e nuovi racconti di viaggio.

Mi raccomando, continuate a seguirmi sul blog e iscrivetevi alle pagine Facebook e Instagram.

A presto!

Commenti

  1. Buongiorno piedi bucati il viaggio si è finito. Io ti ho seguito giorno per giorno.
    Ogni giorno mi hai dato un'emozione diversa e mi hai fatto sentita parte integrante del tuo viaggio. Grazie complimenti per il tuo modo di esprimerti! Brava Santina!

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    Risposte
    1. Grazie a te per avermi seguito fin qui e per il tuo commento. Vedere che ogni tanto qualcuno legge quello che scrivo e scoprire di essere stata in grado di trasmettere le mie emozioni anche ad altre persone, mi ha reso davvero felice. Anche se questo viaggio è finito, ce ne sono ancora molti altri, passati e in programma, di cui vorrei continuare a scrivere qui sul blog. Se ne hai voglia, raggiungiamo insieme anche la prossima meta.

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