Giorno 4: Jiufen, la città incantata

Quanti di voi conoscono o hanno mai visto "La città incantata"?

Questo anime, vincitore del premio Oscar come miglior film d'animazione, ha consacrato il suo creatore, Hayao Miyazaki e la sua casa di produzione, lo Studio Ghibli, a livello internazionale. 

© Studio Ghibli

A rendere ciò possibile ha senz'altro contribuito, oltre alla storia narrata, le atmosfere e ambientazioni del film, che trasportano lo spettatore all'interno della frenetica vita della città termale fantasma che fa da sfondo alle vicende dei protagonisti.

Nella creazione di tali ambientazioni sembra che Hayao Miyazaki si sia lasciato ispirare da alcuni luoghi reali che è solito frequentare, quali il Sekizenkan di Shima Onsen in Giappone o la cittadina di Jiufen a Taiwan.

© Maikoya

Inutile dire che, da amante dei film di Miyazaki, non appena ho saputo che sarei partita per Taiwan, Jiufen è da subito entrata a far parte della lista dei luoghi da visitare assolutamente.
 
Si tratta di una meta molto famosa tra i turisti ma che ai locali dice ben poco, almeno a giudicare dalla perplessità con cui Jessica e Arturo mi hanno guardato quando ho detto di voler andarci.
Nonostante ciò, hanno finito per accompagnarmi, fosse anche solo per dimostrarmi che il mio entusiasmo al riguardo era pressochè immotivato.

La giornata è così cominciata con una ricca colazione a base di latte di soia salato (inaspettatamente la cosa più buona del mondo) e luo buo si bing (un panino cotto al vapore ripieno di carne e rapa) e poi siamo partiti.

 
Jiufen dista circa 30 minuti di auto da Taipei, ma è raggiungibile anche in autobus in circa 1 ora e trenta.
 
Si tratta di una piccolissima cittadina, collocata su un versante della montagna a nord di Taipei, da cui si ha però, anche una stupenda vista sul mare circostante Taiwan.  
 

La città si caratterizza per scale e viuzze strette, per cui è percorribile solo a piedi. Le principali attrazioni della città sono la Jiufen Old street e la casa da tè in stile giapponese Amei.

La Jiufen Old streeet è un vicoletto ai cui lati opposti si sviluppano vari negozi di diversa tipologia, sormontati dalle caratteristiche lanterne di carta rossa.
 

Già appena immessa nella stradina mi è stato subito chiaro del perchè Jessica non fosse tanto convinta di venire. Calche infinite di turisti si susseguivano lungo il percorso, per poi riversarsi all'entrata delle varie attività commerciali con la stessa foga degli acquisti del black friday. 
In una situazione normale sarei stata la prima a girare i tacchi e andar via.
Invece continuavo a guardarmi intorno rapita. Le lanterne appese, tutti quegli odori provenienti da diversi negozi che si mischiavano tra loro, la frenesia con cui i proprietari delle diverse attività servivano la gente di passaggio, tutto mi riportava all'incanto e alle atmosfere del film che tanto ho amato.
 
 
© Studio Ghibli

Tra i vari negozietti, a farla da padrone erano sicuramente quelli dedicati allo street food. Mai visti così tanti cibi sconosciuti tutti insieme. 
Se Jessica non fosse stata con me avrei avuto serie difficoltà a districarmi tra i vari banchetti e capire cosa scegliere. Tramezzini ripieni di quella che sembrava una confettura sono risultati essere salati, mentre quello che avevo dato per certo come brodo con delle polpettine ho scoperto essere un dolce tipico.




Su consiglio di Jessica ho deciso di provare il gelato taiwanese e devo dire che l'ho amato. Si tratta di una specie di crepe al cui interno vengono inseriti arachidi sbriciolati, due palline di gelato (di solito ai gusti ananas e taro) e coriandolo, per poi essere arrotolata e servita quasi fosse un burrito.
So che in molti non sopportano il sapore del coriandolo ma devo dire che in questo caso, il suo gusto speziato è proprio ciò che rende unico e dà sapore al tutto.


Spostandoci lungo la via, abbiamo finito per raggiungere una graziosa casa da tè. 
Ho trovato meravigliosa la struttura interna, in legno e pietra, in quanto permetteva ai turisti di trovare un rifugio dal caldo e allo stesso tempo trasmetteva un senso di pace assoluto. 
 

Sviluppata su due piani, presentava al centro una zona di luce, caratterizzata da vasi comunicanti ricoperti di muschio, i quali trasportavano l'acqua dal piano superiore a quello inferiore facendola convergere in una piccola vasca per le carpe. Nel mezzanino si trovavano alcuni tavoli per la dimostrazione della cerimonia del tè in stile cinese, i cui utensili (teiere, vasi e tazzine) erano esposti in bella vista all'interno del locale, pronti per l'acquisto. 
 


 

Una gentile signora ci ha accolte e permesso di assistere ad una versione abbreviata della cerimonia in stile cinese, e degustare uno dei tè in vendita.


La cerimonia del tè cinese si differenzia da quella giapponese, a me più familiare, sia per la diversa tipologia di tè usato, sia per gli utensili e metodo utilizzato.


Se per la cerimonia del tè giapponese, infatti, si usa tè matcha in polvere, per quella cinese si utilizza principalmente tè oolong in foglie.
Il metodo giapponese non prevede l'uso di una teiera. La polvere di tè viene sciolta in acqua calda e mescolata con uno strumento apposito, fino a formare una sorta di crema che poi viene servita in ciotole di grandi dimensioni.
 
© Giappone in pillole

Il metodo cinese, al contrario, prevede l'uso di una teiera e tazzine di piccole dimensioni. 
L'acqua calda viene versata all'interno della teiera fino a farla traboccare, e poi dalla teiera alla tazzina e dalla tazzina a quella successiva, fino a svuotamento. Questa tecnica serve a riscaldare i recipienti. L'operazione viene ripetuta una seconda volta, dopo aver inserito le foglie di tè nella teiera, al fine di sciaquarle dalla polvere. 
A questo punto, la teiera, con dentro le foglie di tè, viene riempita di acqua calda per la terza volta e chiusa, quindi si attendono i tempi di infusione. Una volta pronto, il tè viene servito versandolo con movimenti rapidi, dalla prima all'ultima tazzina e viceversa, fino a riempimento.

© Scuola di cerimonia del tè

Di nuovo in strada, tra negozi di vestiti e amuleti, l'attenzione di Jessica è stata attirata da un negozio di souvenir, nel quale ha acquistato un ciondolo per il cellulare che ha poi deciso di regalarmi. Quello che sembrava un piccolo gadget per turisti è diventato il pretesto e l'incipit di una storia che mi ha completamente affascinato.
 


Il ciondolo era una raffigurazione stilizzata di una ragazza in abiti truku, una delle popolazioni indigene di Taiwan.
 

I Truku sono una delle 16 etnie originarie dell'isola di Taiwan. Inizialmente parte del gruppo Atayal, in seguito all'attacco e dominazione giapponese, alcuni di loro furono costretti a migrare e nascondersi sulle montagne, nello specifico in una zona denominata Truku, da cui poi presero il nome.
 
© Wikipedia

La loro economia e sussistenza si basa principalmente sull'agricoltura e la produzione di mais, patate dolci e panico, affiancata da caccia e pesca. La principale attività delle donne è l'intreccio e la tessitura del lino.

Elemento distintivo della popolazione Truku è il patasan, un tatuaggio facciale che viene apposto al momento del passaggio all'età adulta (di solito intorno ai 14-15 anni). Il patasan è un ornamento e allo stesso tempo un riconoscimento delle proprie capacità da parte degli anziani. Le ragazze Truku  guadagnano il diritto a tatuarsi il viso dimostrando la propria bravura nella tessitura, tecnica ritenuta fondamentale anche in vista del matrimonio.
 
© Taiwan memory exhibition

Durante la colonizzazione giapponese la tradizione del patasan venne però abolita, per cui le generazioni successive ad essa non presentano più alcun tatuaggio facciale.
Di questo gruppo di persone fa parte anche la madre di Arturo, che a differenza della nonna, non ha il patasan sul viso.
 
La madre di Arturo è, in qualche modo, parte dei libri di storia. Lei fu infatti la prima donna indigena a laurearsi all'università. I suoi studi furono finanziati da un prete svizzero.

All'epoca Taiwan era un Paese molto povero, per cui molti religiosi viaggiavano verso l'isola per aiutare i bisognosi e diffondere il cattolicesimo. Il suddetto prete era solito visitare la comunità Truku e distribuire vivande a chi si recava alla messa domenicale. Proprio in occasione di una di queste messe, incontrò la madre di Arturo e decise di supportare economicamente i suoi studi.
 
L'università della madre di Arturo © NTNU

Grazie al suo aiuto finanziario, la madre di Arturo fu in grado di entrare in una delle più prestigiose università dell'epoca, laurearsi e divenire insegnante di storia. In seguito, fu anche scelta dal Governo Taiwanese come membro dell'Assemblea Nazionale, posizione alla quale rinunciò per prendersi cura dei suoi figli.

Devo ammettere che quando ho sentito questa storia da Jessica sono rimasta totalmente spiazzata. Mai mi sarei aspettata che uno come Arturo, il classico businessman che lavora per un'azienda americana e dalla mentalità completamente occidentalizzata, avesse origini Truku. Trovo stupefacente come la vita delle persone possa cambiare e trasformarsi in modo così inaspettato solo grazie all'incontro con altre persone, e come queste finiscano per ampliare il tuo mondo.
 
Lasciata la Jiufen old street ci siamo dirette verso la seconda attrazione principale della città, la sopracitata casa da tè Amei. A differenza della casa da tè visitata in precedenza, questa è in perfetto stile giapponese ed è forse il luogo di Jiufen che più ricorda i film di Miyazaki. 
 
© Studio Ghibli


Situata in una posizione decentrata rispetto alla Jiufen old street, la si raggiunge scendendo una scalinata molto caratteristica. Con le sue finestre e terrazze, le innumerevoli lanterne rosse e le maschere tradizionali appese alle pareti, questo è forse l'edificio più fotografato di tutta Jiufen. 
 


 
All'interno è possibile degustare tè verde e dolci tradizionali giapponesi, ma c'è sempre molta fila da fare, per cui abbiamo deciso di lasciar perdere e, scattata qualche foto, ci siamo dirette nuovamente al parcheggio dove Arturo ci stava aspettando.
 
Su suggerimento di Arturo, abbiamo poi deciso di continuare a risalire la montagna fino a raggiungere il padiglione Buyan, un famoso punto panoramico. Dal padiglione è possibile vedere l'oceano e il porto di Keelung, oltre alla valle Mudan e le montagne circostanti.

 
Il nome Buyan è tratto da un famoso poema del poeta Libai e significa letteralmente "non ripugnante", ad indicare la bellezza della vista di cui si può godere da questo luogo. 
 

Oggi il padiglione è famoso principalmente tra gli escursionisti che vengono qui a fare hiking. Mi è capitato di vedere più di una persona collegare una fune alla ringhiera del punto panoramico, per poi tirarsi giù, in esplorazione della zona circostante.
 

Il luogo risulta particolarmente affollato nei fine settimana perchè preso d'assalto da instagrammer che si posizionano al centro della carreggiata, sulla via principale, in cerca della foto perfetta. Non ci sarebbe niente di male in ciò, se non fosse che si tratta di una strada trafficabile e che più di una volta queste persone hanno rischiato di creare incidenti e di essere investite. In ogni caso devo ammettere che il panorama vale assolutamente la pena.


Giunta l'ora di pranzo, abbiamo ridisceso la montagna e siamo andati alla ricerca di un ristorante. La scelta è ricaduta su un ristorante specializzato in tofu, per rimanere leggeri, in vista della cena familiare prevista per la sera.

Personalmente non sono una grande amante del tofu. Mi infastidisce in particolare la sua consistenza e anche dopo la visita al ristorante non mi sono ricreduta, tuttavia, ho comunque apprezzato la varietà di sapori che sono riusciti a creare a partire da un prodotto basicamente insipido. 
Abbiamo ordinato quattro diversi piatti da condividere: tofu piccante, tofu brasato, tofu puzzolente e tofu fritto.




Terminato il pasto ci siamo diretti verso Shifen, dove abbiamo deciso di trascorrere il pomeriggio.
 
Principale luogo di interesse di Shifen è la sua stazione ferroviaria. Qui molti turisti sono soliti riunirsi per liberare in volo le loro lanterne di carta ricolme di desideri. Già avvicinandoci in macchina ne abbiamo vista qualcuna volare in cielo.
 

Presso la stazione di Shifen si trovano diversi negozi in cui è possibile acquistare una lanterna. Ne esistono di diverse tipologie, monocrome e policrome, ma tutte di dimensioni piuttoto grandi.
Una volta scelta la lanterna, si passa a scriverci sopra i propri desideri sui diversi lati. Infine ci si dirige verso le rotaie del treno e da lì, dopo aver scattato qualche foto, si lascia andare la lanterna libera vi volare verso l'alto.





Naturalmente, essendo Shifen una stazione ferroviaria ancora in uso, i lanci delle lanterne vengono cadenzati tra un passaggio e l'altro del treno.


A partire dalla stazione, si snoda la Shifen old street, una piccola via commerciale piena di negozi. Ci siamo soffermate principalmente in uno che vendeva souvenir a forma di lanterna di carta. Mi sono innamorata a prima vista di questo posto, fosse solo per i suoi colori.

Esposte si trovavano tantissime mini lanterne di carta di diversa fattura. Alcune presentavano motivi decorativi orientali tradizionali, altre richiamavano personaggi della cultura pop giapponese quali Rilakkuma o Gudetama, altre ancora personaggi Disney quali Winnie Pooh o Cip e Ciop. Alcune lanterne erano solo decorative e da appendere in casa, altre presentavano una piccola lampada all'interno, altre ancora funzionavano come talismani, avendo scritti sui lati dei desideri.



Grazie alla traduzione di Jessica ho potuto conoscere anche un po' meglio la proprietaria, molto carina e disponibile. Mi ha raccontato della sua attività e di come tutte le lanterne all'interno del negozio fossero state realizzate a mano da lei stessa. Mi ha inoltre mostrato il suo banco da lavoro e parte del procedimento di creazione delle lanterne. Devo dire che è stato davvero interessante.



Rientrati a Taipei, ci siamo diretti verso il ristorante prescelto per la cena in cui avrei incontrato per la prima volta i fratelli di Jessica e le loro rispettive famiglie.

Per l'occasione è stato scelto un ristorante familiare, con formula a buffet e prezzi contenuti. Il ristorante presentava un enorme bancone centrale su cui erano posti i piatti, circondato da grandi tavoli perlopiù rotondi, ad uso dei commensali.
Il buffet era davvero ricco e vario. Erano presenti carne, pesce e verdure cucinati nei modi più diversi, oltre a molti altri piatti per me non chiaramente identificabili. Devo ammettere che la presenza di così tanto cibo mi ha messo parecchia confusione. 


Il metodo di ordinazione dei piatti inoltre, era un po' a metà tra una mensa, un buffet e un mercato. 
Al bancone si prendeva un vassoio su cui poi poggiare i piatti che si voleva portare al proprio tavolo. Se ciò che si voleva mangiare era già stato porzionato, bastava prendere il piatto e aggiungerlo al proprio vassoio, in caso contrario, bisognava indicare all'addetto di turno cosa si desiderava e costui avrebbe provveduto a metterlo in un piattino e consegnarvelo. 
Fin qui non c'è nulla di strano, penserete. Funziona come una mensa.
Invece no. Perchè in mensa si rispetta una fila. Questa, invece, era una ressa da buffet di matrimonio con persone vassoio munite, che si spingevano tra loro per farsi vedere e sentire dagli addetti dietro al bancone, urlando le proprie ordinazioni in cinese. 
 


Avrei voluto passare più tempo al bancone per capire cosa fossero effettivamente quei piatti e quali tra essi potessero avvicinarsi ai miei gusti, ma in tutto quel marasma, ho finito con il desistere, chiedendo a Jessica di ordinare per me.
 

Il risultato è stato che quella sera ho mangiato pochissimo, perchè la maggior parte delle cose ordinante non le ho particolarmente gradite.  La mia solita fortuna😅. 
 
Fortuna che è continuata anche al rientro a casa di Jessica. La fitta nebbia di quella sera, infatti, ha coperto completamente la punta del Taipei 101, impedendomi di scattare la foto di rito. 
Quindi niente foto con la luce verde, mi dispiace.

Cosa ve ne è parso delle mete visitate durante questa giornata? Se vi va lasciatemi un commento.
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