Giorno 1: prime impressioni su Tokyo

Orologi e karaoke

Ognuno di noi, immagino, ha una meta ambita, un luogo che per qualche ragione ignota anche a sé stesso, ha sempre desiderato visitare. Per me quel luogo era il Giappone.


Ho speso un’infinità di tempo sognando, leggendo, guardando video su youtube e rinunciando quotidianamente a tante piccole cose per racimolare i soldi per poterci andare. Per me era davvero il viaggio che aspettavo da tutta la vita, ho impiegato più di un anno a organizzarlo e a prenotare tutto ciò di cui avevo bisogno, perché non volevo perdermi assolutamente niente. Più cercavo, e più trovavo nuovi posti che volevo vedere e nuove attività che volevo provare.
Sono il tipo di viaggiatrice che vuole essere super organizzata prima di ogni partenza e sapere il più possibile sul luogo dove andrà e su come muoversi,  in modo da sprecare il minor tempo possibile. I miei viaggi sono vere e proprie maratone e per quanto capisco che in molti la pensino diversamente, perchè quando partono vogliono solo rilassarsi, nel mio caso niente mi rilassa e mi rende più felice di scoprire posti nuovi. È chiaro che quando si vuole fare e vedere troppo, spesso non ci si riesce. Ci saranno sempre imprevisti lungo la strada, e anche la stanchezza non è da sottovalutare, ma credo che in questo caso si possa scegliere di vedere ciò che interessa davvero e decidere di tralasciare qualcos’altro. “Se non riuscirò a vedere qualcosa sarà perché l’ho deciso, non perché non ero consapevole neppure della sua esistenza.” Non c’è niente di più brutto di visitare un luogo e poi scoprire al tuo ritorno a casa che, proprio nel posto dove sei stato, c’erano delle cose interessanti da vedere e tu ci sei passato accanto ma hai proseguito oltre perché non avevi  neppure idea della loro esistenza.
Così è stata la mia organizzazione del viaggio in Giappone, ho ricercato fino allo sfinimento (mio e di parenti che mi ascoltavano), per essere ben preparata.
Quando infine è arrivato il giorno della partenza ero talmente incredula che ho vissuto gran parte del viaggio con la straniante sensazione di star guardando un altro video su youtube. Ogni luogo visitato era assurdamente familiare. Mi sono detta che forse stavolta avevo davvero esagerato con le mie ricerche, ma era il mio primo viaggio al di fuori dell’Europa e devo dire che essere ben preparata mi ha aiutato tanto con gli spostamenti. Arrivare dall’aeroporto all’hotel e poi muoversi per la prima volta in una megalopoli qual’è Tokyo, è stato, con mia grande sorpresa, estremamente semplice. Mi sono sentita subito come a casa, tanto da chiedermi se non fosse quello il posto che ho cercato tutta la vita.
Abbiamo scelto un hotel molto economico ma molto carino nella zona di Nihonbashi,  in una posizione strategica tra la stazione di Asakusabashi (a una fermata dai quartieri di Asakusa e Akihabara) e quella di Bakurocho (a una fermata dalla stazione di Tokyo e direttamente collegata con un treno rapido ed economico all’aeroporto di Narita).
Appena atterrati, una cosa che ho davvero amato, è stata la scritta di benvenuto all’ingresso dell’aeroporto. In basso in inglese “Welcome to Japan” per tutti i turisti in arrivo e in alto in giapponese “Okaerinasai” (Bentornato a casa). Trovo che sia davvero una bella idea. Ti fa sentire subito ben accolto e felice di essere tornato.
Perché anche noi in Italia non abbiamo una scritta di Bentornato in aeroporto?


Subito dopo aver passato i controlli di sicurezza, che sono stati abbastanza veloci e indolore, ci siamo dirette a scambiare il voucher con il nostro Japan Rail Pass (abbonamento per i treni della compagnia JR) che sarebbe stato attivo dalla nostra seconda settimana in Giappone, ed ad acquistare la Suica, una carta prepagata che ci è servita per gli spostamenti della prima settimana. Dopo di che, ci siamo dirette a prendere il treno. All’interno non c’era molta gente e noi eravamo le uniche con grosse valigie, credo a causa dell’orario del nostro arrivo e anche perché in molti utilizzano altri treni per raggiungere Tokyo, questo in base alla zona in cui devono andare, di solito più rapidi ma anche molto più costosi.


Attorno a me c’erano solo giapponesi, l’altoparlante annunciava le fermate in giapponese e inglese, e sulla porta comparivano i nomi delle stazioni in kanji, hiragana e romaji… eppure capacitarsi di essere su suolo nipponico era comunque difficile. Il viaggio in treno è trascorso abbastanza rapidamente, siamo riuscite anche ad avvistare la Tokyo Sky Tree in lontananza.
Arrivati alla nostra fermata siamo scese e siamo andate alla ricerca del nostro hotel che, secondo quanto avevo capito, si trovava proprio di fronte a una delle uscite della stazione.
Ora magari vi starete facendo le stesse domande che mi ponevo io:  “Ma le stazioni di Tokyo sono davvero come dicono? Superaffollate, la gente sta a sinistra sulle scale mobili, ti spingono dentro per entrare nei treni ma, nonostante questo, è tutto pulito e i treni non sono mai in ritardo? Ed è vero che non ci sono senzatetto accampati, come nella maggior parte delle stazioni italiane? È vero che i lavori di manutenzione degli edifici e delle strade durano poco perché i giapponesi lavorano in modo celere?”
Se dovessi rispondere a queste domande basandomi solo sul mio primo giorno in Giappone avrei detto che sono tutte bugie.
Al nostro arrivo in stazione c’era pochissima gente, esattamente come durante tutto il viaggio in treno. Le scale mobili, che sembravano non finire mai da quanto erano lunghe, le abbiamo prese in quasi perfetta solitudine, e passate i tornelli, ci siamo dirette alla nostra uscita.


Fortuna vuole che sia l’unica uscita senza scale mobili, salite le quali ci siamo trovate davanti un milione di coni stradali a terra che indicavano chiaramente dei lavori in corso. Accanto ai coni, delle non identificate scritte in giapponese che forse vietavano il passaggio.
E secondo voi, dopo aver salito un milione di scale sollevando due valigie enormi, potevo mai tornare indietro, riportando giù le valigie per le scale, prendere un’altra uscita che sarebbe stata nella direzione opposta e molto lontana dal mio hotel solo perché c’erano degli stupidi coni a terra? Non se ne parla!
Mi sono fatta forza del fatto che, se qualcuno mi avesse fermato perché stavo infrangendo un divieto, potevo dire che ero una povera straniera che non capisce la lingua; per cui ho proseguito, sperando che non  crollasse tutto al mio passaggio. Volete saperlo? Ho fatto bene a non farmi scoraggiare, perché quei coni, alla faccia dei lavori celeri dei giapponesi, erano ancora lì quando sono tornata in quella stessa stazione, dopo un mese, per riprendere il treno che mi avrebbe condotto in aeroporto verso  il mio volo di ritorno in Italia. 
In ogni caso,  superati i coni, pensavo che i miei problemi fossero finiti, invece quasi mi prende un infarto quando scorgo, girato l’angolo, un barbone che dorme sotto un ammasso di cartoni, e cosa peggiore, altre scale. È stata una cosa davvero inaspettata, ma l’uomo sembrava molto tranquillo per cui, dopo quel giorno, siamo tornate sempre in stazione da quella strada. Il caso però ha voluto che non lo incontrassimo più, forse aveva capito che quello non era più un luogo abbastanza appartato e ha deciso di dileguarsi.
Dopo aver fatto il check-in in hotel e lasciato le nostre valigie in camera ci siamo subito precipitate fuori. Nonostante la stanchezza per non aver dormito quasi 24 ore, non potevamo non iniziare da subito l’esplorazione di Tokyo, anche perché c’era qualcosa che volevamo assolutamente fare e quella sarebbe stata la nostra unica occasione per farla.
La nostra prima meta è stato il quartiere di Shiodome. Per raggiungerlo dalla stazione di Tokyo basta prendere la JR Sobu line fino alla stazione di Shimbashi e poi prendere la Yurikamome line. Nel nostro caso abbiamo deciso di scendere a Shimbashi e proseguire a piedi in quanto con una passeggiata di 5 min eravamo già arrivate alla nostra meta, l’edificio della Nippon TV che si trova all’uscita 2D della stazione.


Perché visitarlo? La Nippon Tv è una delle principali emittenti televisive giapponesi per cui se seguite un po’ i programmi giapponesi può essere carina da vedere. Noi ad esempio avevamo visto qualche spezzone di News Zero, una sorta di notiziario in cui i vari conduttori approfondiscono di volta in volta diversi argomenti. Perché siamo finite a guardare il telegiornale in giapponese non capendoci niente è presto detto.
Credo sia problema comune, anche in Italia, il sempre minore interesse, soprattutto tra i giovani, per quanto riguarda l’informazione giornalistica. Magari ci si documenta via internet, ma i giovani che seguono volentieri le notizie di cronaca in tv sono sempre meno. Quindi come ovviare a questa situazione?
I giapponesi hanno pensato bene di far presentare le notizie a uno degli idol più popolari del momento.
Immaginate il vostro cantante preferito, o l’attore di cui siete state da sempre segretamente innamorate, iniziare all’improvviso questa nuova avventura televisiva, non sareste corse anche voi a vedere il notiziario per supportarlo?
A me sinceramente suonava davvero strano all’inizio pensare che un idol potesse condurre un telegiornale, non so, voi ce lo vedreste Justin Biebier anchorman della CNN?
A suo merito bisogna dire che la persona scelta si è laureata in una delle migliori facoltà di Tokyo, e che oltre a presentare fa un vero  lavoro di giornalista sul campo. Nonostante questo continua comunque a fare l’idol ed è proprio questo che mi risultava un po’ strano. Quanta credibilità e serietà può avere qualcuno che per lavoro balla, canta e si mette in ridicolo continuamente?
Invece, stranamente, funziona. Vi lascio una foto dei conduttori di News Zero. Riuscite ad indovinare di chi si tratta a colpo d’occhio?


La Nippon tv è anche il canale che trasmette anime molto famosi anche in Italia, quali Detective Conan. Noi abbiamo avuto la fortuna di vedere una piccola mostra davvero meravigliosa su quest’anime, con disegni originali e autografi dei doppiatori.


Oltre a ciò il quartiere lascia senza fiato. I grattacieli altissimi con le loro luci sfavillanti, tutto è pulito e ben curato, la piazza dove si trova l’edificio è adorabile. In lontananza si vedeva persino la Tokyo Tower illuminata ma non del rosso usuale.




Al nostro arrivo nell’aria risuonava una melodia fin troppo familiare alle nostre orecchie ma che in Italia non avremmo mai sentito uscire da un altoparlante. Quella stessa melodia sarebbe diventata la colonna sonora del nostro viaggio perché davvero ovunque siamo andate c’era un negozio di musica che la stava promuovendo. Neanche a dirlo, ci siamo guardate negli occhi e siamo accorse d’istinto in direzione della musica per trovare poster giganti e una radio, fuori dal negozio, che suonava “Don’t you get it”, l’ultimo singolo di uno dei nostri gruppi jpop preferiti: gli Arashi. Sapevamo che in Giappone sono molto famosi, ma per due ragazze che venendo dall’Italia non hanno molte possibilità di ascoltarli per caso, trovarseli risuonare nell’etere è stata una grande emozione. Ci siamo precipitate dentro per toccare con mano almeno un CD ma il caso ha voluto che fossero  già tutti esauriti. Il caso si fa per dire, visto che in qualunque altro shop visitato la situazione era identica. Per poter comprare un loro CD bisogna prenotare secoli prima, così come i biglietti dei loro concerti che sono pressoché impossibili da acquistare per chi non è iscritto al fanclub.


Ah, se per caso qualcuno si stesse ancora chiedendo chi tra i conduttori di News Zero è l’idol di cui vi ho parlato, trovate la risposta nella foto. Si tratta di uno dei membri degli Arashi. Lo avete riconosciuto?
Superato l’entusiasmo, ci siamo dirette verso il reale motivo per cui ci trovavamo in quel quartiere. Al secondo piano della Nippon Tv difatti, all’esterno, su un lato dell’edificio, si trova l’immenso orologio disegnato da Hayao Miyazaki, uno dei fondatori dello Studio Ghibli. L’orologio è alto 10 m e largo 18 ed è stato costruito dalla scultore Shachimaru Kunio.


A parte il design in cui si vede chiaramente il tocco del maestro Miyazaki, l’orologio ha la caratteristica di animarsi ad orari predefiniti (lun.-ven. 12,00 – 15,00 – 18,00 – 20,00; sab.-dom. anche 10,00) regalando un prezioso spettacolo di figure in movimento e suoni. Le figure in rame e acciaio ricordano nelle fattezze gli antichi giocattoli in stagno, e il meccanismo dei 32 congegni che si mettono in movimento riporta alla mente gli orologi a cucù. Ogni spettacolo inizia 2 min e 45 sec prima, quindi se volete vederlo dovete essere lì prima dell’orario stabilito. Noi siamo arrivate in tempo per vedere lo spettacolo delle 18,00 e ne è valsa assolutamente la pena.


Se qualcuno fosse interessato a vedere lo spettacolo vi lascio il video che abbiamo girato qui sotto.


Finita l’animazione, siamo tornate indietro nel quartiere di Shinbashi per cercare un posto dove mangiare. La prima sensazione che ho avuto è stata quella di essere bombardata dai suoni e dalle luci delle insegne e degli schermi pubblicitari che ricoprivano ogni grattacielo. Era come trovarsi in un enorme discoteca. Ad ogni angolo c’erano ristoranti, negozi e karaoke.


Avevamo pensato di cenare in un locale di cui avevamo letto ottime recensioni,  famoso per il buta-don, una ciotola di riso con sopra carne di maiale, ma appena arrivate ci siamo accorte che era un locale davvero minuscolo, con solo poche sedie attaccate al bancone e frequentato da soli giapponesi. Inoltre i cuochi non parlavano inglese e il menù era solo in giapponese. Sebbene questo probabilmente fosse sinonimo di qualità, come prima sera non ce la siamo sentita di affrontare di petto così tante difficoltà, per cui abbiamo optato per un posto che avesse un menù in inglese e in cui era possibile ordinare tramite uno schermo touch posto fuori dal negozio. Alla fine abbiamo cenato con un gyudon, una ciotola di riso con sopra carne di manzo e un’ottima zuppa di miso, per cui non ci siamo tanto discostate dalla nostra idea iniziale. 


Se avevamo evitato il ristorante di buta-don per non avere difficoltà, poco dopo ci siamo tuffate volontariamente  in problemi ben peggiori per puro fangirlismo. Come avevo detto c’era un motivo ben preciso per cui non potevamo non uscire la nostra prima sera a Tokyo, un’occasione che una volta persa non sarebbe più tornata.  Poco prima di partire avevo scoperto difatti che la compagnia “Karaoke no tetsujin” aveva attivato una collaborazione temporanea  in alcuni dei suoi locali, tra cui uno a Shinbashi, con la Toei Animation per la promozione dell’ultimo film di Digimon tri e che tale collaborazione terminava proprio il nostro primo giorno in Giappone. All’interno del karaoke era quindi possibile acquistare merchandising della serie e ordinare da un menù a tema Digimon. So che questo può sembrare ridicolo, ma visto quant’è difficile trovare qualunque cosa riguardo i Digimon, totalmente bisfrattati rispetto ai Pokemon, non potevamo farci scappare l’occasione.
Faccio una piccola parentesi, per cui chi vuole può saltare direttamente al prossimo capoverso. So che in molti non saranno d’accordo, ma se non si fosse capito, facciamo parte di quel piccolo gruppo di persone che pensano che i Digimon siano mille volte meglio dei Pokemon, o almeno lo sono le prime 2 serie e la tri che riprende la storia delle prime due. A dire il vero io sono un ex fan di Pokemon convertita, e come tale non riesco davvero a capire come qualcuno che abbia visto anche Digimon possa pensare che Pokemon sia meglio. Credo che, almeno in Italia, Digimon sia stato molto penalizzato dal fatto di essere uscito subito dopo Pokemon, per cui molta gente, io per prima,  non ha neppure provato a guardarlo, convinta che fossero una fotocopia del primo. Solo grazie alla caparbietà di mia sorella, ho finito per guardarne una puntata e me ne sono totalmente innamorata. Il più grande pregio di Digimon, rispetto a Pokemon, in primo luogo, è che ha una trama. Pokemon è solo un continuo acchiappa mostriciattoli, gira palestre e falli combattere perché si evolvano. Non ha un vero filo conduttore, una storia di fondo, mentre la storia di Digimon è interessante, piena di colpi di scena e fa riflettere.
Dunque dopo cena abbiamo deciso che dovevamo assolutamente andare al karaoke. E quello è stato l’inizio della fine. Consiglio: se volete andare al karaoke in Giappone e non siete con un amico giapponese o che parla giapponese, non fatelo! Potrebbe trasformarsi nel vostro peggiore incubo!
In primo luogo perché davvero gli impiegati del karaoke non solo non parlano una sola parola d’inglese, non lo capiscono neppure (non so se in altri karaoke è diverso, ma in quello dove siamo andate noi era evidente che l’inglese non era requisito richiesto per essere assunti). Appena entrate ci siamo dirette verso il bancone. Visto eravamo interessate a qualcosa di specifico non potevamo usufruire delle offerte, e considerato anche l’orario nel quale siamo arrivate sapevamo che il prezzo sarebbe stato un po’ proibitivo, per cui abbiamo deciso di rimanere solamente un’ora per limitare i costi. Se avete tempo e non avete un interesse specifico consiglio di andare al karaoke in fascia pomeridiana quando il costo è inferiore e di prendere un’offerta che comprenda anche le bevande. Inoltre esistono davvero molte compagnie, credo quella dove siamo andate noi fosse una delle più care. Per esperienza vi dico che se non siete ferrati in giapponese impiegherete circa un’ora solo per capire come far funzionare il tablet per la scelta delle canzoni, per cui consiglio di riservare la stanza per almeno due ore.
Riuscire a farci capire dallo staff del karaoke è stata un impresa titanica. Abbiamo fatto capire allo staff più a gesti che a parole che volevamo stare un’ora e alla fine sembravano aver colto ciò che volevamo dire e ci hanno mostrato con la calcolatrice il prezzo. Al momento mi sembrò abbastanza basso ma ingenuamente non diedi peso alla cosa e pensai che fosse perché non avevamo ancora aggiunto le bevande. Fargli capire che volevamo scegliere le bevande dal menù Digimon è stato ancora più difficile, per fortuna a un certo punto abbiamo intravisto un menù tra i vari fogli disposti sul bancone e finalmente hanno capito. Si poteva scegliere tra varie bibite, ognuna associata ad un diverso personaggio della serie e in omaggio avremmo dovuto ricevere un sottobicchiere del personaggio prescelto, almeno questo pensavo. Scelte le bevande ci hanno consegnato i microfoni e indicato il numero della stanza in inglese, che credo di aver capito solo al quarto tentativo e nemmeno con molta sicurezza.


La parte peggiore è stata però, arrivati nella stanza designata, riuscire a rapportarsi con il tablet per la scelta delle canzoni. Non solo era tutto in giapponese, ma era scritto tutto in kanji, per cui non avevo davvero nessun appiglio per capirci qualcosa. Dopo aver provato a schiacciare davvero qualunque tasto ho finalmente trovato una piccola sezione in inglese, ma aveva solo pochissime canzoni del tutto sconosciute. 
L’apparizione in stanza del ragazzo con le bevande mi è sembrata un miraggio. Assieme ai nostri cocktail analcolici portava anche una scatolina dal quale ci ha fatto pescare il sottobicchiere omaggio, quindi diversamente da come avevo capito  la scelta del sottobicchiere era dettata solamente dal caso, e non era in alcun modo associata alla bevanda scelta. Le mie possibilità di ottenere il sottobicchiere desiderato erano solo 1 su 8 e come è ovvio ho avuto la sfiga di beccare il personaggio che meno mi interessava, la new entry della serie tri, Mei.


In ogni caso ho subito bloccato il ragazzo dello staff per farmi spiegare come funzionasse quell’aggeggio infernale che serviva a scegliere le canzoni. Per prima cosa mi ha mostrato la sezione in inglese che avevo già trovato, ma quando gli ho spiegato che volevo cercare canzoni giapponesi mi ha mostrato quale fosse la sezione cantanti e quale quella canzoni e che entrata nella sezione dovevo scrivere il nome del cantante o il titolo della canzone che stavo cercando e per farlo per fortuna avevo a disposizione l’hiragana. Salvo poi il fatto che la ricerca in hiragana mi dava risultati in kanji, ma stavolta i pochi kanji conosciuti sono stati sufficienti ad individuare il cantante prescelto. Il grosso problema è stato che la maggior parte di canzoni o cantanti a noi noti avevano nomi in katakana e con la ricerca in hiragana non comparivano. Ho trovato la soluzione a questo dilemma circa un quarto d’ora prima lo scadere dell’ora quando sono riuscita non so bene come ad impostare l’alfabeto katakana e a mandare una dietro l’altra tutte le canzoni che non avevo trovato in un’ora di ricerca.


Partita la prima canzone ci è stato subito chiaro che cantare non sarebbe stato affatto semplice. Sebbene fossimo preparate al fatto che i testi erano solo in giapponese e io mi fossi esercitata a leggere hiragana e katakana prima di partire, è stato immediatamente palese che anche di fronte al testo di una ballad non riuscivo a leggere abbastanza velocemente, nemmeno con il massimo dell’impegno. Nonostante ciò abbiamo continuato a provare con sempre più foga, nonostante il risultato finale sia stato solo una serie inconsulta di strilli, storpiature e parti di testo saltate a piè pari. In ogni caso ci siamo consolate del fatto che le stanze erano insonorizzate e nessuno ci avrebbe sentito. La prima mezz’ora di karaoke è stato solo stress e sforzo, dopo abbiamo iniziato a prenderci gusto ricordandoci persino delle bevande che erano ancora lì intatte ad attenderci sul tavolo.
Posso darvi un altro consiglio? Non abbiate molte aspettative sulle bevande del karaoke. Credo di non aver bevuto niente di così disgustoso in vita mia prima di allora. Probabilmente è dipeso anche dal fatto che non le abbiamo bevute subito e si sono riscaldate ma entrambe avevano un sapore dolciastro talmente stucchevole da far venire il voltastomaco. Insomma menù Digimon totalmente bocciato.


Quando finalmente eravamo entrate nel vivo del divertimento abbiamo sentito suonare il citofono all’interno della nostra stanza. Ho risposto e qualcuno mi ha detto qualcosa in giapponese che non ho capito. Ho spiegato in inglese che non capivo il giapponese e ovviamente dall’altro capo della linea si è diffuso il panico e mi hanno staccato. Ho intuito che l’ora a nostra diposizione doveva essere finita e ho cominciato a prendere tutte le mie cose per lasciare la stanza, immaginando fosse ciò che tentavano di dirmi, lasciando a malincuore tante canzoni in scaletta che avrei ancora voluto cantare.  Quando sono uscita dalla porta  mi sono ritrovata di fronte un altro membro dello staff che mi ha spiegato che ciò che tentavano di dirmi al citofono era che ci rimanevano solo 10 min, ormai 5. Neanche a dirlo ci siamo rifiondate dentro per goderci almeno l’ultima canzone che il caso ha voluto fosse proprio Butterfly di Koji Wada e vista la collaborazione con la Toei abbiamo potuto cantarla con sullo sfondo le immagini di Digimon.




Ci siamo sentite quasi felici e grate di quest’ultima canzone concessaci, anche se il fatto di aver sprecato minuti preziosi di karaoke a causa della chiamata dello staff ci aveva innervosito un po’. Infine abbiamo lasciato la stanza con riluttanza e ci siamo dirette verso l’ascensore,  commentando allegramente su quanto il nostro vicino di stanza fosse stonato, salvo accorgerci con orrore che se riuscivamo a sentirlo non era affatto vero che le stanze erano insonorizzate e che chiunque fosse passato di lì nell’ora precedente aveva  sicuramente sentito i nostri starnazzi.


Abbiamo raggiunto di nuovo il bancone all’ingresso con rassegnazione e un po’ di imbarazzo per pagare il conto e con nostra sorpresa e disappunto ci siamo ritrovate davanti un scontrino molto più salato di quello che ci aspettavamo. Considerate le disgustose bevande che compiangevamo aver ordinato, era comunque troppo caro rispetto al prezzo mostratoci all’entrata. Dopo molti tentativi per farsi capire il mistero è stato svelato. Il prezzo che ci avevano mostrato all’inizio infatti era per una persona,  per cui il prezzo finale era raddoppiato più bevande.
In conclusione è stato una mezza fregatura ma non per questo mi sento di bocciarlo in toto, visto una volta capito il sistema ci siamo anche divertite. Credo, in generale, che il karaoke sia un’esperienza da fare in Giappone,  ma da ripetere solo se si conosce la lingua o si è in compagnia di amici che sono già stati o che parlano giapponese, o se vi accontentate del limitato repertorio di canzoni straniere. E magari da provare a metà viaggio quando avete già preso dimestichezza con la città e vi sapete arrangiare meglio. Nel nostro caso l’esperienza fatta ci è bastata e non abbiamo sentito l’esigenza di fare il bis.

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