Giorno 2: Tokyo, una giornata da principessa

Come sfondarsi di cibo mantenendo un contegno regale

Chi non ha mai desiderato essere una principessa? Soprattutto adesso che siamo in un periodo di crisi, perché trovare un lavoro stabile sembra sempre più un’utopia e i soldi non sembrano essere mai sufficienti, non vi capita mai di immaginare di incontrare un milionario che vi riscatti dalla vostra vita di ristrettezze e vi faccia vivere negli agi?
Sin da piccole siamo sempre state bombardate con immagini di giovani di umili origini che hanno dato una svolta alla loro vita incontrando il principe azzurro e andando a vivere in meravigliosi castelli o in enormi dimore stile vittoriano, ritrovandosi a disposizione immensi guardaroba ricchi di abiti e con tanto di servitù che scatta ad ogni schioccare di dita e che le tratta con cordialità e affetto d’altri tempi.
E se vi dicessi che a Tokyo i vostri sogni possono realizzarsi? Che per un po’ potete dimenticare gli affanni della vita e rilassarvi completamente passeggiando per giardini degni di un’imperatore, bevendo thè e mangiando pasticcini in un ambiente raffinato, servite da giovani che vi dedicheranno più attenzioni di quelle che abbiate mai potuto immaginare?
La prima tappa della nostra seconda giornata a Tokyo è stata il quartiere di Marunouchi e in particolare i Giardini Orientali del Palazzo Imperiale. Sono raggiungibili dalla stazione di Tokyo con una breve passeggiata.



Il Palazzo Imperiale fu costruito da Tokugawa Ieyasu intorno al 1590 su un precedente castello e divenne sede dello shogunato con il nome di Castello di Edo (Edo era l'antico nome di Tokyo) fino alla restaurazione Meiji, quando lo shogun Tokugawa Yoshinobu fu cacciato dalla residenza e l’Imperatore Mutsuhito vi si insediò, spostando la capitale da Kyoto a Edo e soprannominandola Tokyo nel 1868. Il palazzo ha subito varie modifiche e ricostruzioni da allora a seguito di incendi, terremoti e infine a causa dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Tuttora è ancora la dimora dell’Imperatore e della sua famiglia e per questo viene aperto al pubblico solo due giorni l’anno, il 2 gennaio per l’inizio dell’anno nuovo  e il 23 dicembre compleanno dell’Imperatore. 
L’unica parte del Palazzo che è  più facilmente accessibile ai visitatori sono appunto i Giardini Orientali, 21 ettari di terreno adiacenti al Palazzo su cui sorgeva il torrione del Castello di Edo. Vi si accede attraverso il portale Otemon, unica via di accesso sopravvissuta alle catastrofi sopra elencate, assieme alle mura perimetrali e al fossato. All’interno è possibile vedere i ruderi  dell’edificio principale, la palazzina di guardia detta “dei Cento”, alcune altre torrette, il deposito delle armi e il Sannomaru Shozokan, il museo delle collezioni imperiali.


Noi Siamo entrate nel  giardino attraversando un ponte che incrociava il fossato e permetteva l’entrata all’Otemon. L’ingresso è gratuito ma abbiamo comunque ricevuto una tesserina in plastica da tenere con noi e restituire all’uscita.


La giornata era un po’ uggiosa ma ciò non ci ha impedito di godere del verde e di sentirci un po’ principesse nei giardini del nostro palazzo.


Il giardino è davvero pregevole, ci si può rilassare e godere di una piacevole passeggiata in mezzo agli alberi di diverse specie, ognuna rappresentante una delle province giapponesi. Si passava da grossi viali fiancheggiati da alti pini, ad altri con pruni, fino al giardino in stile giapponese fatto di arbusti bassi che circondavano un laghetto di carpe rosse e bianche.


  

Abbiamo speso lì l’intera mattinata, addentrandoci tra gli alberi e risalendo i bastioni per osservare il paesaggio tutto attorno. Sono stata totalmente rapita dal modo in cui, trovandomi per la prima volta in un vero giardino giapponese, così diverso dai giardini a cui i nostri occhi sono abituati, il paesaggio attorno a me si duplicasse sul riflesso del lago centrale e ogni elemento del giardino sembrasse essere in perfetta armonia. Persa com'ero nella contemplazione di ciò che mi circondava, ho continuato a camminare facendo poca attenzione a dove andavo, e a causa di questo, per poco, non ho rischiato di prendere in piena faccia una ragnatela con annesso ragno gigante.



Ci siamo molto impegnate anche nel tentativo di arrivare il più vicino possibile al Palazzo Imperiale, con il possibile rischio di farci arrestare, solo per scattare qualche bella foto, scoprendo così  a malincuore che il Palazzo si vede decisamente meglio da fuori che da dentro.
All’uscita dei Giardini ci attendeva la mia amica Yuka per andare a pranzo e trascorrere insieme il resto della giornata. Abbiamo percorso indietro il viale Nakadori circondate dai grattacieli, in direzione della stazione di Tokyo.
La stazione di Tokyo è un edificio in mattoni rossi di stile rinascimentale. Fu ultimato nel 1914, ma a causa della Guerra subì ingenti danni e venne riedificato frettolosamente su due piani. L’attuale edificio è frutto di un restauro terminato nel 2012 che ha riportato il palazzo alle fattezze pre-belliche, eliminando il secondo piano e ricostruendo le cupole che oggi lo caratterizzano.


All’interno della stazione sono presenti molti negozi e ristoranti. Noi abbiamo fatto un giro della Character street, una galleria commerciale con negozi di brand con mascotte famose tipo Rilakkuma, Hello Kitty, Pokemon e Studio Ghibli. Ho visto un peluche gigante di Jiji (il gatto di Kiki, consegne a domicilio) che avrebbe fatto ammattire la mia collega di lavoro nel tentativo di averlo.


Poi siamo andate alla Ramen street, una galleria con ristoranti che preparavano diverse varietà di ramen da tutto il Giappone. Nonostante ciò la nostra scelta per il pranzo si è concentrata su altro, cioè un ristorante di soba. I soba sono spaghetti di grano saraceno che si mangiano freddi inzuppandoli in una salsina detta Tsuyu fatta con brodo dashi, salsa di soia, mirin e zucchero.
Appena sedute ci hanno subito portato dell’acqua, i menù e un piccolo asciugamano caldo e umido, che tutt’ora non ho ben capito se serva a pulire le mani prima del pasto o a riscaldarle per chi viene da fuori, magari ad entrambe le cose. Il menù in giapponese di Yuka sembrava cuneiforme tanto era scritto fitto e senza neppure un’immagine, mentre il nostro in inglese seppure un po’ difficile da capire presentava delle piccole foto. Abbiamo deciso di provare quelli che sembravano dei set a buon prezzo. Io ne ho preso uno con soba, tempura e verdure non identificate che sembrava avere un aspetto invitante.


Mi è arrivato un vassoio molto più grande di quello che mi aspettassi, con addirittura sotto la tempura una montagna di riso bianco. Se vi state chiedendo qual è il problema, ve lo spiego subito. Mi è sempre stato insegnato, e con questa convinzione sono cresciuta, a non ordinare mai più di quello che riesco a mangiare, perché non è bello sprecare il cibo e tanto meno i soldi.
Se avevo finito con l’ordinare così tanto cibo senza volerlo, c’era solo una soluzione. Far in modo che tutto quel cibo entrasse nel mio stomaco in un modo o nell’altro. Alla fine del pasto ero piena da scoppiare, ma ho trovato tutto delizioso, specialmente i sottaceti verdi, inoltre ho anche finito con l’intrattenere Yuka che non la smetteva di ridere per i miei pietosi tentativi di districare i soba con le bacchette.
Terminato il pasto ci siamo dirette a prendere il treno verso Ikebukuro, la seconda e più importante meta della nostra giornata “da principesse”, che senza il prezioso aiuto di Yuka sarebbe stata irrealizzabile.
Ikebukuro è raggiungibile in circa 20 min dalla stazione di Tokyo prendendo la JR Yamanote line, oppure la Tokyo Metro Marunouchi line.


Il quartiere di Ikebukuro può essere considerato il corrispettivo per clientela femminile del quartiere di Akihabara. È moderno e pieno di grattacieli e presenta vari negozi  che vendono manga e relativo merchandising come gli Animate, e un grande centro commerciale, il Sunshine City, dove abbiamo fatto un giro in attesa del nostro importante appuntamento.

© Openbuildings
Come Akihabara è piena di Maid cafè, cioè locali dove le cameriere sono ragazze vestite con divise dalla foggia francese/vittoriana e accolgono i clienti con un “Okaerinasaimase goshujin sama” cioè “Bentornato a casa padrone”, ad Ikebukuro si trova il più famoso Butler cafè di Tokyo, lo Swallowtail.


A  differenza dei maid cafè dove sia il cibo che l’ambiente non è molto curato e ricorda più un ambiente infantile con colori pastello e dove gli ospiti devono indossare cerchietti con buffe orecchie e recitare, nel modo più “kawaii” possibile,  improbabili formule magiche per rendere più buono il cibo, lo Swallowtail dà l’idea di un locale d’alta classe dove sia l’ambiente che il cibo sono curati in ogni dettaglio.
Per visitare questo cafè bisogna prenotare in anticipo tramite il loro sito, che però è tutto in giapponese, per cui abbiamo lasciato questo compito a Yuka che lo ha fatto per noi. Il locale è interrato, per entrare abbiamo sceso le scale d’ingresso e un maggiordomo ci ha fatto accomodare in alcune sedie poste all’esterno, in attesa del nostro turno.

© Pamela Glass

© Swallowtail twitter

Non abbiamo dovuto aspettare molto, in quanto poco dopo il maggiordomo ci ha indicato di andare verso la porta e un altro maggiordomo l’ha aperta per noi dall’interno.

© Swallowtail twitter

Siamo state accolte da un gruppo di 4 maggiordomi con un “Bentornate a casa signorine” e due di loro ci hanno aiutato a togliere giacche e borse. Visto avevamo più di una borsa a testa ci hanno chiesto se potevano portare le giacche e le borse in più in un’altra stanza e uno di loro ci ha accompagnate al nostro tavolo portando le borse rimanenti e posizionandole in una cesta ai piedi del tavolo coperte da un telo ricamato.

© Youtube
Ovviamente altri maggiordomi sono accorsi per spostarci le sedie per farci sedere e uno di loro è rimasto per spiegarci le regole del cafè e il menù sia in giapponese che in inglese.
A dire il vero che abbia spiegato anche in inglese me l’hanno fatto notare in seguito, perché io non me ne ero minimamente accorta,  forse anche a causa mia, troppo presa dal guardarmi attorno, ma credo che in buona parte sia dipeso dalla pronuncia con forte accento giapponese del maggiordomo.
Bisogna ordinare almeno una bevanda e un piatto a testa, è vietato fare foto, e per qualunque esigenza bisogna suonare il campanellino posto sul tavolo. E con qualunque esigenza si intende davvero qualunque cosa, anche cose che non vi sarebbe mai venuto in mente di aver bisogno di far fare a qualcun altro.
Avremmo voluto ordinare il set da 3 piattini che costava poco più del dolce che abbiamo poi ordinato, ma eravamo ancora troppo piene dal pranzo per cui abbiamo optato per i due dolci del mese. Il cafè infatti propone un menù fisso e due dolci che cambiano ogni mese.
Io ho preso quello che si chiamava Helene, una sorta di millefoglie scomposto accompagnato da gelato alla nocciola e pera cotta. All’inizio quando ho visto la pera ho avuto paura di non riuscire a mangiarlo, perché di solito la consistenza molliccia della pera mi dà la nausea, invece ho dovuto ricredermi, era incredibilmente buono e la pera per niente molliccia.

© Swallowtail twitter

Le ragazze invece hanno entrambe preso l’altro dolce, il Loup garou. Il fatto di chiamare un dolce “lupo mannaro” incuriosiva anche me su che tipo di dessert fosse. Era un tortino fatto con 6 diversi tipi di cioccolato, accompagnato da una ghiaccia al tartufo e una crema al sapore di cassata ed era davvero delizioso a quanto mi hanno detto.

© Swallowtail twitter
Abbiamo accompagnato il tutto con un tipo di tè diverso a testa. Si può scegliere da 3 differenti menù, uno con i tè classici, uno con tè miscelati e uno con tè aromatizzati. Io ho scelto un tè aromatizzato al cacao dal nome Afrodite che si sposava benissimo con il mio dolce. Nel menù dei tè aromatizzati c’erano 12 diversi gusti legati ognuno ad un mese dell’anno e a una divinità della mitologia greca, per cui mi è sembrato carino, visto era anche un gusto che poteva piacermi, scegliere il tè legato al mio mese di nascita.
Per la stessa ragione la scelta è stata molto ardua per mia sorella Diana, in quanto oltre al tè legato al suo mese di nascita, c’era anche un tè legato alla dea greca che porta il suo nome nel menù dei tè aromatizzati, e un tè dal nome Diane Rose nel menù dei tè miscelati che ha finito per prendere.
Fatta l’ordinazione abbiamo avuto qualche minuto per guardarci intorno. L’ambiente era davvero curato con un gusto chiaramente europeo ma eclettico. Il pavimento era in parquet, le sedie in stile vittoriano, l’orologio barocco affiancato dai candelabri erano posti sul caminetto stile impero. Nonostante l’accozzaglia di diversi stili tutto nella sala sembrava in perfetta armonia, nulla strideva.

© Swallowtail twitter

Noi siamo state fatte accomodare in uno dei tavoli centrali, ma ai lati c’erano anche tavoli più appartati, isolati da pesanti tendaggi rossi. La nostra attenzione è stata attirata da una donna che sembrava avere sui 35 anni seduta ad uno dei  tavoli con tendaggio, da sola, che aveva ordinato un intero menù, composto da più portate, e che chiacchierava da lungo tempo con un maggiordomo.
Era chiaramente un trattamento di favore per una cliente abituale, per cui la domanda “ma quanto cavolo sta spendendo?” è uscita spontanea.  Considerando che la spesa minima a persona era di 3,000 yen (circa 28 euro, cioè quello che abbiamo speso noi, ed è già una cifra considerevole a mio avviso), non riesco davvero a immaginare quanto avesse pagato lei per quel servizio personalizzato. Inoltre una seconda domanda è sorta quasi come conseguenza della prima: “non è un po’ triste che sia necessario arrivare a pagare per avere delle attenzioni e sentirsi un po’ speciali nella vita?”
Ciò che ci ha spinto ad andare al butler cafè credo sia stata la novità, il gusto dell’inconsueto, la scoperta che un luogo del genere possa esistere davvero nella realtà, ma guardando la clientela del locale devo ammettere che c’erano davvero molte tipologie di persone, e molte di loro non sembravano essere lì per il nostro stesso motivo.
Partendo dal presupposto che la clientela era tutta femminile, era chiaro che ci fosse gente che era lì solo per divertirsi proprio come noi, vestite un po’ casual che ridacchiavano incredule ad ogni gesto dei maggiordomi. C’erano però anche altre clienti vestite di tutto punto in perfetto stile con il locale, tra cui alcune ragazze con dei vestiti adorabili stile lolita, che sembravano perfettamente a loro agio nei panni delle signorine di buona famiglia e non si facevano scrupolo a suonare il campanellino ogni 3 secondi. Infine c'era chi, come la ragazza seduta da sola, che sembrava lì per riempire un vuoto, per trovare delle attenzioni che nella vita di tutti i giorni non le erano concesse.
L’arrivo del nostro ordine ci ha distratto da queste riflessioni. Un maggiordomo ci ha spiegato cosa stavamo per mangiare, il tè e addirittura il servizio di tazze usato. Ognuna ha ricevuto una teiera del suo tè che il maggiordomo ha prontamente versato e poi coperto con un panno blu ricamato per tenerlo in caldo.

© Swallowtail twitter
Durante tutto il tempo che siamo rimaste lì si sono alternati al nostro tavolo quasi tutti i maggiordomi presenti in sala, credo sia una scelta strategica per far si che la cliente trovi quello di proprio gusto. I  maggiordomi sembravano un po’ stereotipati, proprio come personaggi di manga, c’era quello dall’aria intellettuale, quello più simpaticone, quello elegante, quello cuccioloso ma ad essere sincera non ne ho trovato nessuno che mi piacesse in particolare. Erano tutti molto lontani dal mio stereotipo di bel ragazzo, ma evidentemente la clientela giapponese la pensa in modo diverso.


© sakasamarainbow

Quasi finita la nostra prima tazza di tè ci è iniziata a prendere un po’ la ridarella perché ci vergognavamo tutte troppo di suonare il campanellino per chiamare il maggiordomo, che si era molto raccomandato di non versarci il tè da sole, perché una principessa non può fare questo enorme sforzo. 
© Swallowtail twitter

Per fortuna uno di loro è passato dal tavolo e ha iniziato a riempire le nostre tazze evitandoci la figuraccia, che io sono riuscita comunque a fare pochi secondi dopo con il mio gesto poco principesco di sollevare una tazza. 
Quando ci hanno portato il tè difatti, i maggiordomi avevano posto le tazze alla destra di ognuno di noi, ma io ero l’unica a non avere la destra libera, visto lì era seduta Yuka, per cui il mio maggiordomo era costretto ad allungarsi sul tavolo per versarmi il tè da sinistra. Impietosita dalle sue difficoltà per arrivarci ho fatto il tragico sbaglio di passargli la tazza. Non ho mai visto una persona agitarsi così prima d’ora per una cosa del genere, tanto che sono entrata in panico anch’io rimanendo per un pezzo con la tazza in aria non sapendo se rimetterla al suo posto o passargliela visto che ormai l’avevo spostata.
Io che pensavo di essere una principessa inside, che pensavo di essere nata per essere servita e riverita, tanto che mia madre continua a dirmi che io non ho bisogno di un fidanzato ma di un fattorino perché penso a quanto sarebbe bello avere una relazione solo quando devo salire le valigie per le scale, come ho fatto a non pensare che anche sollevare una tazza per passarla a qualcuno che ti sta servendo del tè è uno sforzo eccessivo? È inutile, in quanto a modi per essere servili i giapponesi sono avanti anni luce. Ho ancora molto da imparare.
Quasi allo scadere del nostro tempo un altro maggiordomo è venuto a chiederci se avevamo bisogno di usare il bagno per cui ho deciso di andare, più per curiosità di vedere l’ambiente che per necessità. Il maggiordomo allora mi ha accompagnata e mi ha detto di aspettarlo per ritornare al tavolo. Ma ti pare? Ovvio che appena ho finito sono tornata indietro da sola. Non volevo mica restare in attesa davanti la porta del bagno che mi venisse a riprendere!
Finito il tempo a disposizione ci hanno dato una sorta di tessera fedeltà da mostrare nel caso tornassimo e ci hanno accompagnato alla porta. Ci hanno posto ad una ad una davanti allo specchio e ci hanno aiutato ad indossare cappotto, sciarpa e borsa. E quello, dopo la mia epica figuraccia, è stato per me il momento più imbarazzante della giornata.  Già è strano farsi “vestire” da qualcun altro ma doverti pure guardare mentre lo fanno è anche peggio. Mi sarei voluta sotterrare.
Poi più che altro mi sono chiesta, ma è davvero questo il tipo di ragazzo che le giapponesi vorrebbero avere? All’inizio pensavo anch’io di volerlo ma quest’esperienza mi ha completamente illuminata. Voglio dire, chi non vorrebbe ricevere più attenzioni dal suo ragazzo? Ma qui si esagera! È bello essere coccolata di tanto in tanto ma io sono una persona autonoma che può fare le cose da sola, non ho nessuna disabilità, quindi perché non limitarsi a cortesia e a piccole attenzioni? Credo di essere l’unica persona ad aver avuto questa sensazione ma dopo un’ora e mezzo ero quasi infastidita dal non poter fare niente da sola, non potermi versare il tè, non poter andare in bagno da sola, non poter prendere la propria borsa ma dover chiamare il maggiordomo per farlo. È stato snervante.
Questa è comunque solo la mia personale impressione, sia Yuka che mia sorella si sono molto divertite e in fondo anch’io. Detto ciò nessuna di noi ha pensato di volerci tornare una seconda volta, in primo luogo perché è abbastanza costoso, poi perché non c’erano maggiordomi carini, e infine perché ricevere attenzioni è bello quando sono naturali e vengono dal cuore.  Inoltre non per forza per sentirsi una principessa bisogna che qualcun altro ci faccia sentire speciali. Basta stare bene con sé stesse. E questo ci ha portato alla nostra ultima meta della giornata: Shin-Okubo, ovvero il quartiere coreano di Tokyo, alla ricerca di prodotti di bellezza.

© Jenna in Japan
Shin-Okubo è sulla Yamanote line a una sola fermata da Ikebukuro per cui siamo arrivate molto velocemente. Il quartiere non è molto grande ma è molto carino e vivo. L’uscita dalla stazione è proprio accanto a un ponte ferroviario il cui sottopassaggio è dipinto con dei murales coloratissimi.

© Nadine Smith
Superato il ponte si arriva in una strada piena di negozietti e ristoranti, le scritte in giapponese si alternano con altre in hangul (scrittura coreana) e dalle vetrine fanno capolino poster e merchandising di idol coreani famosi. Se siete appassionati di k-pop questo quartiere è il paradiso. Io personalmente amo molto i drama coreani ma non seguo molto il k-pop per cui non conosco molti gruppi o cantanti, ma tra i volti a me noti decisamente i Big Bang spadroneggiavano in tutti i negozi.

© Chico Harlan
© Jenna in Japan
          
Abbiamo iniziato il giro di tutti gli shop esaltandoci a ogni immagine di attore o idol che conoscevamo e analizzando con cura i prezzi di tutti i prodotti coreani che trovavamo facendoci consigliare da Yuka su quale fosse il migliore.


Alcuni prezzi erano davvero stracciati e la tentazione di comprare di tutto è stato davvero forte ma eravamo ancora solo al secondo giorno del nostro viaggio, e non potevamo di già dilapidare tutto il nostro budget, per cui da brave ragazze parsimoniose ci siamo contenute. Per poi spendere i nostri soldi in cibo, ovvio.
Terminato il giro di tutti i negozi, difatti, nonostante il mio stomaco si ribellasse strenuamente, non potevamo non cercare un posto per provare il barbecue coreano.
Dopo aver guardato vari ristoranti mi sono lasciata convincere da uno che offriva barbecue a prezzo fisso e aveva una vastissima scelta di foglie di verdura che mi ha messo un’acquolina incredibile nonostante il mio stomaco pieno.
Ci hanno fatto sedere in un tavolo con una bella vista sulla strada. Ogni tavolo aveva una piastra e un tubo che scendeva dal soffitto, per aspirare il fumo. Ci hanno fornito un bavaglino di carta per non sporcarci e ci hanno portato il menù e i contorni: un’insalata, delle salsine, una zuppina con non so bene cosa dentro e del kimchi, contorno alla base della cucina coreana fatto di verdure, di solito cavolo, fermentate con spezie.


La carne si poteva scegliere dal menù, noi abbiamo optato per carne di maiale, giusto per tenerci leggere, e avendo diritto a una porzione a testa, ne abbiamo presa una non condita, una con spezie piccanti e una marinata al miso.


Quando la carne è arrivata al tavolo mi sono stupida di quanto fosse spessa, di solito in Italia ti arrivano striscioline sottili di pancetta, non di quelle dimensioni, per fortuna il cameriere l’ha cucinata per noi perché non avrei saputo neppure da dove iniziare. Con la carne è arrivata anche il meraviglioso vassoio di insalata che mi aveva convinto ad entrare.


Il barbecue coreano, come anche lo yakiniku, funziona in questo modo. Si cuoce la carne, poi quando è pronta, si prende una foglia di lattuga e si inserisce all’interno la carne bagnata nella salsina e i contoni, poi si chiude la foglia e si mangia in un boccone.  Ora immaginate noi, povere italiane incapaci, a tentare di prendere carne e contorni con le bacchette in ferro coreane che se possibile sono ancora più difficili da impugnare di quelle giapponesi.
Diciamo che secondo me anche i coreani devono aver capito che mangiare con quei cosi è praticamente impossibile per cui per fortuna assieme alle bacchette ti danno anche il cucchiaio. Un’altra cosa che non ho capito e a cui ancora non ho trovato risposta è:  perché nel 90% dei ristoranti in Giappone non ci sono i tovaglioli? Ti danno l’asciugamanino bagnato per le mani quando entri, la bavettina per non sporcarti, ma non i tovaglioli, ma perché? Loro non si sbrodolano o non gli dà fastidio la salsa se gli rimane sulle labbra?
Finita la cena ero così piena da non riuscire neppure ad alzarmi dalla sedia. Fosse stato per me non sarei riuscita a mangiare nemmeno metà di quello che avevamo ordinato, ma per fortuna c’era chi aveva più spazio di me nello stomaco. Alla fine sono rimaste comunque tante verdurine che avrei voluto mangiare ma proprio non ce la facevo a ingerire altro di solido. Stavo già lì, salutandole tristemente con la mano, quando il cameriere è arrivato e ci ha proposto se con le verdure rimaste non volessimo ci facesse un centrifugato. L’ho amato.

                  

Il centrifugato è venuto buonissimo, di un bel colore verde, merito delle verdure che abbiamo lasciato. Ad un tavolo vicino lo hanno preso anche loro ma non sembrava per niente invitante, era tipo verde bile.
In ogni caso quella cena rientra a pieno titolo, al secondo posto, nella mia top 3 dei migliori pasti fatti in Giappone, mi spiace solo di non essermela goduta a pieno. Se visiterò di nuovo  il Giappone questo ristorante sarà sicuramente nella lista dei posti in cui tornare, la prossima volta, a stomaco vuoto.


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