Giorno 25, parte 1: l'arrivo sul Koyasan, il paese dei monaci



Come vivono i monaci buddisti? Devo ammettere che prima di partire per il Giappone questa era una domanda che non mi ero mai posta. 
Eppure passando dalla visita di un tempio all'altro, e continuando a incrociare queste persone dall'aria sempre serena, questa domanda ha cominciato ad insinuarsi nella mia testa, a tal punto che quasi senza accorgermene, mi sono ritrovata ad aspettare con attesa sempre crescente, il giorno in cui avremmo visitato il Koyasan, luogo di apprendistato dei monaci.



Ebbene, quel giorno era arrivato.
Avevamo lasciato le nostre valigie in deposito all'hotel di Osaka, portandoci dietro solo uno zaino ciascuno. L'idea era quella di viaggiare il più leggero possibile, avevamo in programma di visitare alcuni luoghi sacri prima di raggiungere il tempio che ci avrebbe ospitato per la notte, per cui non volevamo avere dietro trolley o altro ad ostacolarci.
Il giorno prima avevamo acquistato in stazione un pass che comprendeva tutti i trasporti e l'ingresso scontato alle principali attrazioni del Monte Koya. Volendo avremmo potuto raggiungere la nostra meta usufruendo del JRP per una parte della tratta fino ad Hashimoto, ma poi avremmo comunque dovuto acquistare i biglietti per il restante tragitto, senza contare che ci sarebbe voluto il doppio del tempo, per cui acquistare il pass ci è sembrata la soluzione migliore in modo anche da evitare problemi dell'ultimo secondo.

© Sweet Smores
Nonostante tutta la preparazione, quella mattina siamo arrivate in stazione correndo, riuscendo appena a prendere il treno che da Shin-Imamiya ci avrebbe condotto, via Nankai Koya line, a Gokurakubashi, stazione da cui parte la funivia per il Koyasan.
Faceva un freddo terribile. Eravamo state costrette a tirar fuori i cappotti e tutte le felpe e maglioni pesanti che ci eravamo portate dietro. Se faceva così freddo ad Osaka che si trovava sul mare, non riuscivo ad immaginare cosa ci attendesse a 1000 metri d'altezza sul Koyasan.
 
© Osaka Station
Per fortuna dentro al vagone si stava benissimo (sempre siano lodati i sedili riscaldati!) per cui ci stavamo godendo il viaggio fino a quando, al mostrare i nostri pass al controllore, questi ci ha detto che avevamo sbagliato treno. A quanto pare avevamo preso un treno diretto per Gokurakubashi, che però non era coperto dal nostro pass che invece comprendeva solo treni diretti ad Hashimoto e che con cambio raggiungevano Gokurakubashi. In pratica o dovevamo scendere e aspettare l'altro treno che comunque non sarebbe arrivato prima di un'ora o pagare un supplemento e restare sul treno. Finale della storia: abbiamo deciso di pagare il supplemento ma almeno abbiamo raggiunto la meta in brevissimo tempo.

© Osaka Station
Presa la funivia siamo così arrivate alla stazione di Koyasan da cui erano già in partenza gli autobus per il centro città. Peccato che proprio in quel momento a mia sorella sia venuto un impellente bisogno di andare al bagno, causato dal troppo freddo. Abbiamo finito con il perdere i mezzi e dover aspettare un'ora in stazione in attesa del bus successivo.

© Little holidays
La cosa peggiore dell'attesa è stato che trattandosi di una stazione piccolissima non c'era assolutamente nulla, nemmeno una caffetteria. L'abbiamo girata in lungo e in largo ma l'unica cosa che abbiamo trovato per intrattenerci sono stati dei cappelli e delle tuniche afferenti a non so che anime o videogioco. Visto non avevamo niente di meglio da fare, ci siamo travestite e messe in posa.



Arrivato finalmente l'autobus abbiamo infine raggiunto il centro città ed iniziato l'esplorazione dei templi.
La prima tappa della giornata è stata il Kongobuji. Questo tempio, residenza del monaco con il grado più alto sul Koyasan, fu costruito da Kukai in persona (altro nome di Kobo Daishi, fondatore del buddismo shingon) nell' 816 e da allora ha subito vari rimaneggiamenti e ricostruzioni a seguito di incendi. Il nome attuale del tempio risale al 1869 quando esso ha inglobato il Kozanji e il Seiganji. Oggi è il centro pulsante del Buddismo shingon.


Ciò che mi ha colpito di più di questo tempio sono state sicuramente la decorazione dei fusuma e la struttura minimale ma incredibilmente vasta delle sale. Sembrava costruito per dei giganti. Ogni edificio, ogni spazio, era enorme e presentava pochissimi oggetti, cosa che se possibile lo faceva sembrare ancora più grande.
 

Anche il suo giardino secco, il Banryu-tei, sembrava la copia in formato gigante di quello del Ryoanji di Kyoto. Creato nel 1984, con un'estensione di 2000 metri quadrati, esso è il più grande di tutto il Giappone e presenta 140 blocchi di granito, posizionati sulla sabbia come a formare due dragoni che emergono dalle nuvole per proteggere il tempio.



Tolte le scarpe, abbiamo visitato il complesso, passando da un padiglione all'altro attraverso corridoi all'aperto che si affacciavano sul giardino interno. Faceva freddissimo e camminare scalze e all'aperto era piacevole quanto attraversare un tappeto di chiodi, ma c'era un silenzio, una pace che mi faceva desiderare di non andarmene più.


Abbiamo raggiunto un'ampia sala con tatami rossi e bianchi che presentava appesi alle pareti opposte dei rotoli con immagini sacre. Un monaco, che abbiamo poi scoperto essere lì in visita proprio come noi,  se ne stava di fronte ad essi in contemplazione.



Dopo poco siamo state raggiunte da una signora con in mano un vassoio con due tazze di tè e delle gallette. A quanto pare quello era un omaggio che davano a tutti i visitatori del tempio, in modo da godersi un attimo di relax, ma lei era stata costretta a rincorrerci perchè non ci eravamo fermate a prenderlo prima di entrare nella sala.



Lasciato alle spalle il Kongobuji, ci siamo dirette verso un altro complesso, formato da una ventina di edifici tra templi e pagode, il Danjo Garan.
Costruito anch'esso da Kobo Daushi nell'816 vi si accede attraverso un viale delimitato da verdi cespugli.
 

 
Il Kondo (padiglione principale) e il Koyashiro al cui interno si trova la campana Daito

Il Chumon, uno dei portali d'accesso all'area sacra
Il Toto, pagoda costruita nel 1127 da Daigosanboin Shokakugon no Sojo

L'Hasu-ike, lo stagno del loto, fu costruito per pregare per coloro che avevano patito la siccità

Il Miedo, la sala in cui sono conservati i ritratti di Kobo Daishi e dei suoi discepoli
Abbiamo acquistato i biglietti e dopo aver fatto un giro dell'area sacra ci siamo dirette all'interno dell' unico edificio visitabile: il Konpon Daito.


Questa pagoda a un piano, ricostruita negli anni trenta e ridipinta di rosso vermiglio, ospitava al suo interno la statua di Dainichi Nyorai, il Buddha cosmico.
All'ingresso la nostra attenzione è stata attirata da una ciotolina con dentro una polverina di colore marroncino chiaro dall'odore abbastanza penetrante. Un cartellino spiegava che bisognava passarla sulle mani per purificarsi. Mia sorella si è rifiutata anche solo di toccare quella roba che sembrava cenere, io ho voluto provare e devo ammettere che dopo la prima sensazione di star sporcandosi, in realtà poi ci si sentiva le mani più pulite, come se fosse talco.
All'interno la pagoda era stupefacente. L'insolito ambiente circolare e coloratissimo mi ha ricordato in qualche modo l'India. La statua dorata di Buddha, posta al centro della stanza, era circondata da altre statue e da colonne rosse riccamente dipinte con raffigurazioni di altre divinità.

© web-japan.org
Terminata la visita abbiamo ripreso la strada principale per cercare un posto dove mangiare. Koyasan è una cittadina di appena 3000 abitanti con ben 117 templi (in pratica ci vivono solo i monaci e le loro famiglie). In tutto il paese ci saranno stati si e no 3 ristoranti, di cui uno era chiuso. Considerando l'aumento del turismo degli ultimi anni si capisce come per ogni ristorante ci fosse una fila di almeno un'ora e mezza. Senza nessun altra alternativa, ci siamo accodate al ristorante con la proposta culinaria più ampia. Sul Koyasan difatti la cucina che va per la maggiore è la shojin ryori, cioè la cucina vegetariana dei monaci buddisti, e considerando che avevamo già prenotato per gustarcela sia a cena che l'indomani a colazione, almeno per pranzo volevo mangiare qualcosa di diverso.

Shojin ryori
L'ora e mezza di fila all'aperto ci ha logorato sia mentalmente che fisicamente. Lo stomaco brontolava, il vento e il freddo ci avevano ormai congelato le ossa, a stare in piedi immobili iniziavano a farci male i piedi e con l'aumentare dei fastidi diventavamo sempre più impazienti. Quando la cameriera ha finalmente chiamato il nostro nome, ci siamo sentite entrambe come appena sopravvissute ad un principio di assideramento, ma siccome siamo pur sempre delle sfigate croniche, fortuna ha voluto che il tavolo liberatosi era proprio quello vicino alla porta e quindi soggetto a continui spifferi. Proprio quello di cui avevamo bisogno. 
Senza nessuna speranza di riuscire a scaldarci, abbiamo fatto la nostra ordinazione. Mia sorella ha preso un ramen, io un tendon (ciotola di riso con sopra tempura di gamberi). Ad oggi posso forse dire che quello è stato il peggior piatto mangiato in Giappone, almeno per quel che mi riguarda.


Premetto che io ho qualche difficoltà a digerire la frittura, per cui di solito la evito, ma in Giappone, curiosa di provare ogni piatto locale l'avevo mangiata di tanto in tanto e non mi aveva mai dato nessun fastidio. La tempura (verdura o pesce pastellato e fritto), è sempre stata leggerissima e per niente untuosa. Quella di questo ristorante è stata l'unica eccezione. Sono rimasta tutto il pomeriggio con mal di stomaco e acidità.

Il racconto di viaggio continua. La seconda parte la trovate qui.

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