Giorno 25 parte 2: Koyasan, imparare a vivere come un monaco buddista
© A warm place in Japan |
Dopo pranzo ci siamo infine dirette allo shukubo (monastero con foresteria) che ci avrebbe ospitato per la notte.
© Booking |
All'ingresso ci ha accolto un monaco alto con gli occhiali, dall'aria un po' intimidatoria. Abbiamo lasciato le nostre scarpe negli scaffali all'entrata e infilato delle ciabatte e poi siamo state fatte accomodare in un salottino dove il monaco ci ha spiegato le regole del tempio, gli orari dei pasti e delle varie attività monastiche e ci ha chiesto a quale di queste volevamo prendere parte. Abbiamo deciso di seguire tutte le attività gratuite, mentre abbiamo rinunciato a quelle a pagamento come la visita notturna all'Okunoin, che avevamo in programma di fare da sole l'indomani.
Okunoin |
Il
monaco ci ha poi mostrato la nostra stanza e il bagno in comune con gli
altri ospiti. La nostra camera si trovava in una zona abbastanza
isolata e piuttosto lontana dall'ingresso principale del tempio ed
affacciava direttamente sul giardino esterno. Fatta eccezione per la
presenza della verandina con il tavolino e le sedie e la decorazione
minimale dei fusuma, la stanza era piuttosto spoglia.
C'era solo un tavolinetto basso in legno posto al centro della stanza con attorno quattro cuscini per sedersi, un appendiabiti e un cassettino che custodiva una cassaforte per riporre gli oggetti di valore. Non era difatti possibile chiudere a chiave la porta della stanza.
Nell'aspetto tradizionale della camera gli elementi moderni stonavano un po' con il resto, come la presenza della tv o della stufa elettrica (che comunque poteva ben poco contro il freddo assurdo che c'era nel tempio).
C'era solo un tavolinetto basso in legno posto al centro della stanza con attorno quattro cuscini per sedersi, un appendiabiti e un cassettino che custodiva una cassaforte per riporre gli oggetti di valore. Non era difatti possibile chiudere a chiave la porta della stanza.
Nell'aspetto tradizionale della camera gli elementi moderni stonavano un po' con il resto, come la presenza della tv o della stufa elettrica (che comunque poteva ben poco contro il freddo assurdo che c'era nel tempio).
Sistemate
le nostre cose, siamo partite all'esplorazione del monastero. Il tempio
era enorme e pieno di corridoi e scale. Perdersi era un attimo. Abbiamo
girato in lungo e in largo scoprendo nuovi ambienti come una
biblioteca e una sala comune.
Alcuni corridoi presentavano delle porte a vetri piuttosto che in carta di riso e si affacciavano direttamente sul giardino interno. In alcuni spazi ci è capitato di trovare persino le porte aperte. Cos'è qualcuno pensava che non ci fosse abbastanza freddo?
Alcuni corridoi presentavano delle porte a vetri piuttosto che in carta di riso e si affacciavano direttamente sul giardino interno. In alcuni spazi ci è capitato di trovare persino le porte aperte. Cos'è qualcuno pensava che non ci fosse abbastanza freddo?
Camminando
a slalom tra i vari corridoi abbiamo infine raggiunto la sala dove si
sarebbe tenuta la lezione di meditazione del pomeriggio, a cui anche noi
avremmo preso parte. Mancava ancora un'ora per cui abbiamo deciso di
tornare in camera a scaldarci un po' con il tè caldo e i dolcetti tipici
del Koyasan che ci avevano lasciato i monaci, e poi magari andare ad
esplorare il giardino.
Questi dolci sono chiamati "pietre di Miroku" a causa della loro forma ovale che ricorda quella della famosa pietra che si trova nella zona più sacra dell'Okunoin. |
La
verandina della nostra stanza infatti presentava delle porte a vetri
apribili e su una pietra del giardino proprio di fronte ad esse erano
state posizionate due paia di ciabatte per andare all'esterno.
Il
continuo cambio di ciabatte, in base all'ambiente del monastero in cui
ci si trovava, era quasi un rituale da seguire. Nei corridoi si girava
con delle ciabatte in pelle che bisognava lasciare all'ingresso della
camera, dove invece si stava scalzi. Per entrare in bagno bisognava
indossare delle ciabatte di plastica rigida aperte, mentre per andare in
giardino c'erano degli zoccoletti in legno.
Abbiamo
fatto appena pochi passi all'esterno che già ci siamo viste costrette a
rientrare. Camminare con quegli zoccoli era un'impresa e poi mia
sorella non la smetteva più di lamentarsi per il freddo.
Giunto finalmente l'orario stabilito ci siamo dirette verso la sala di meditazione per cominciare la nostra lezione.
La
sala si affacciava sul giardino interno e per raggiungerla bisognava
passare da un corridoio all'aperto, ragion per cui siamo uscite di
camera con i cappotti addosso. Quando siamo arrivate, davanti alla porta
della sala c'erano già diverse paia di ciabatte, così abbiamo lasciato
fuori anche le nostre e siamo entrate. Posati in un angolo i nostri
cappotti, abbiamo preso posizione sedute a terra come gli altri
presenti. Nel giro di pochissimo la sala si è riempita di persone.
© Trip out |
Un
giovane monaco ha fatto il suo ingresso posizionandosi davanti a noi.
Non ho potuto fare a meno di pensare che quello fosse il primo bel
ragazzo incontrato in un mese di viaggio. Altro che Butler cafè, i
ragazzi carini in Giappone si trovano nei monasteri! Ho cacciato quel
pensiero in un angolo della mia mente sentendomi stupida. Ma ti pare che
tra tanti ragazzi finivo con l'interessarmi ad un monaco?
La lezione ha avuto inizio. Il monaco ci ha spiegato che quello che stavamo per imparare era il Sosokukan, cioè il primo livello della meditazione Ajikan
(meditazione sulla lettera A). La sala nella quale ci trovavamo infatti
era completamente spoglia, fatta eccezione per un rotolo appeso alla
parete di fronte a noi che presentava dipinta la lettera A in sanscrito.
© The Interdependence Project |
Per
prima cosa bisognava sedersi a gambe incrociate nella posizione
corretta. La gamba destra andava sulla sinistra e per essere sicuri di
stare dritti con la schiena si poteva usufruire di alcuni cuscini in
paglia dalla forma tonda.
La mano destra si posizionava sulla sinistra a
formare un cerchio. Bisognava rilassare tutto il corpo fatta eccezione
per lo stomaco che doveva restare in tensione. Gli occhi dovevano
restare semichiusi in modo da guardarsi dentro senza perdere di vista
l'esterno.
© Trip out |
A
questo punto cominciavano gli esercizi di respirazione. Prima tre ampi
respiri utilizzando naso e bocca e poi respiri più brevi utilizzando
solo il naso e contando da uno a dieci. Un respiro, un numero. Arrivati a
dieci repiri si ricominciava a contare da capo.
© The Japan Times |
Una
volta terminata la spiegazione il giovane monaco ci ha lasciato da soli
per circa 10 minuti perchè facessimo pratica. Devo dire che, con mio
stupore, la concentrazione in sala è rimasta tale per almeno 5 minuti.
Poi il rumore di una pancia che brontolava ha rotto il silenzio della
stanza, seguita da delle risatine e qualcuno che estenuato dalla
posizione ha ceduto cercando una sedia.
© dayre.me |
Dal
canto mio sentivo un crampo atroce lungo tutta la gamba ma mi rifiutavo
di cedere. Volevo portare a termine tutto l'esercizio. I monaci del
monastero riuscivano a mantenere quella posizione senza problemi per ore
ed ore, non potevo arrendermi dopo solo 5 min.
Ho
immaginato la loro prima meditadione durante l'apprendistato.
Scommetto che anche a loro facevano male le gambe. No, non mi sarei
arresa.
© Koyasan Shukubo Association |
Allo
scoccare dei 10 minuti il monaco è tornato, liberandoci da quella
posizione e spiegandoci come scioglierci. Sembrerà assurdo, ma una volta
poggiate le mani a terra per terminare l'esercizio mi sono davvero
sentita meglio, più rilassata e come liberata da un grosso peso.
Ho
lasciato la stanza più felice e serena di quando ero entrata, curiosa
di chiedere a mia sorella che impressioni avesse avuto sulla
meditazione. Ma prima ancora di riuscire a trovarla mi ha raggiunto la
sua gomitata. "Carino il monaco" mi ha bisbigliato all'orecchio. Mi è
venuto da ridere. Con una sola frase aveva cancellato ogni mia
reticenza. Non avevo niente da vergognarmi per vedere nel nostro mentore
più un bel ragazzo che un monaco.
Il monaco carino © Matt Murray |
Tornando
in camera abbiamo incrociato lungo il corridoio vari giovani monaci che
si affaccendavano con dei vassoi laccati rossi. Era già ora di cena.
Nella
nostra stanza il tavolino basso era stato spostato di lato e un
apprendista monaco giovanissimo (avrà avuto al massimo 17 anni) aveva
disposto 4 vassoi rossi con la nostra cena al centro della stanza.
Sembrava timidissimo, quasi faceva fatica a guardarci negli occhi,
figurarsi a rivolgerci la parola. Ha preso coraggio solo poco prima di
uscire, lasciandoci in regalo delle bacchette in legno.
La
cena era composta da svariati piattini, tutti rigorosamente
vegetariani, accompagnati da tè verde e riso in bianco. C'era una zuppa
di miso, del goma-dofu (tofu al sesamo), dei soba, della tempura, sottaceti, svariate altre
verdurine non chiaramente identificabili e cachi-mela per dessert.
Ho mangiato tutto con gusto, persino la tempura che era leggerissima e ad ogni morso mi sentivo una persona nuova, rigenerata. Mi è tornato in mente il tendon terribile mangiato a pranzo. Quand'è che mi era passata l'acidità di stomaco?
Mi
sentivo in piena catarsi, il mio corpo sembrava essersi liberato da
ogni tossina, la mia mente era serena come non mi succedeva da tempo,
persino il freddo mi sembrava un alleato, lì per temprare il mio
spirito. Mi sentivo in pace con il mondo. Per un attimo ho pensato
persino di sposare il monaco carino e trasferirmi lì per sempre (eh si, i
monaci buddisti non hanno nessun divieto riguardo il matrimonio 😁).
Tutto era perfetto, peccato per i continui lamenti di mia sorella che
non ci vedeva proprio niente di bello nel freddo che le attanagliava le
ossa e in una vita fatta di cene senza salsiccia e rosticciana.
Un gruppetto di novizi è venuto a ritirare i vassoi una volta terminato il pasto, e a montare i futon
per la notte. Anche questi sembravano molto giovani, il più grande avrà
avuto 20 anni, ma a differenza del ragazzo che ci aveva portato la
cena, non erano affatto timidi. Uno in particolare non la smetteva di
chiacchierare, ci ha fatto un milione di domande e raccontato di quanto
gli piacesse l'Italia e dei suoi propositi di viaggiare intorno al mondo
alla fine del suo apprendistato.
Quando
sono andati via era ancora molto presto (i monaci cenano alle 17.30) per
cui abbiamo pensato bene di usare quel tempo per immergerci ancora di
più nella vita monastica provando lo shakyo, la trascrizione di un sutra.
© Things to do in KYOTO |
Ci
siamo recate quindi all'ufficio principale per ricevere tutto il
materiale necessario per svolgere quell'esercizio. Arrivate all'ingresso
ci siamo accorte che c'erano già degli ospiti all'interno a parlare con
i monaci, siamo rimaste un po' in attesa ma visto la cosa sembrava
andare per le lunghe abbiamo citofonato per segnalare la nostra
presenza. Ad aprirci è arrivato il monaco carino. Siamo rimaste un po' a
chiacchierare con lui scoprendo che ci aveva notate a lezione di
meditazione (anche noi avevamo notato lui 😁) e non so perchè aveva
pensato che fossimo indiane (mai qualcuno che azzecca la nostra
nazionalità, ma d'altronde mi hanno dato della straniera anche in
Italia, cosa pretendo?).
Tornate
in camera con fogli e pennelli ci siamo preparate alla trascrizione.
Come metteva ben in chiaro la guida che avevamo in camera, la trascrizione di sutra è un allenamento buddista, non un esercizio di calligrafia, per cui era vietato lasciare il lavoro a metà, inoltre, prima di iniziare a scrivere, c'erano una serie di cose da fare.
Come metteva ben in chiaro la guida che avevamo in camera, la trascrizione di sutra è un allenamento buddista, non un esercizio di calligrafia, per cui era vietato lasciare il lavoro a metà, inoltre, prima di iniziare a scrivere, c'erano una serie di cose da fare.
N.1 Pulisci e ordina la stanza.
Quando
ho letto questa regola ho pensato che i monaci avevano trovato il modo
perfetto per far fare ai turisti il lavoro al posto loro. Va bene. In
fondo la stanza era piccola e praticamente vuota. Non ci voleva nulla.
Fatto!
N.2 Assicurati di indossare vestiti puliti e appropriati.
N.3 Purifica te stesso lavando viso, mani, bocca e denti.
Siamo passate in bagno a darci una rinfrescata e poi abbiamo indossato gli yukata fornitici dai monaci. Fatto!
N.4 Sistema su un tavolo tutti gli strumenti necessari alla scrittura.
N.5 Ripeti sette volte ad alta voce e con le mani giunte il mantra "Namu Daishi Henjyo Kongo". Fatto!
N.6
Siediti e inizia la trascrizione dell'Hannya shingyo, il Sutra del Cuore, ripetendo nella tua mente un desiderio
e mantenedo la mente pura. Fat...No. Ci sono volute ben due ore e mezza
prima di riuscire a dire "Fatto!".
Il
perchè fosse un allenamento buddista e non un mero esercizio di
calligrafia diventava sempre più chiaro man mano che il tempo passava.
Con la luce fioca della stanza i caratteri da ricopiare si intravedevano
appena e trattandosi di kanji, non avevamo la più pallida idea di cosa
stessimo trascrivendo. Non c'era un ideogramma che conoscessi in tutto
il foglio. Andavamo ad intuito, sforzando la vista su quella pagina che
sembrava senza fine. Essendo le sedie troppo alte per qualunque tavolino
presente in stanza eravamo state costrette a sederci a terra per
ricopiare il sutra, per cui dopo un po' avevamo smesso di sentirci le
gambe e come se tutto questo non fosse sufficiente c'era un freddo
gelido che in nessun modo la stufetta riusciva a placare.
Eppure
abbiamo continuato a trascivere imperterrite ripetendo il nostro
desiderio nella mente. Pensavamo di cavarcela in poco tempo, invece
quando abbiamo terminato erano già le 22.00.
Siamo
andate a letto stremate, ma quell'assaggio di vita buddista ci aveva
sicuramente già insegnato una grande lezione. La felicità si ottiene
solo con sforzo e sacrificio, e per sforzo e sacrificio non si intende
in senso figurato, ma mettendo alla prova ogni giorno i propri limiti
fisici e mentali.
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Al prossimo post dove vi porterò alla scoperta del luogo più sacro e misterioso del Koyasan.
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