Giorno 2 parte 2: Taipei, i luoghi da vedere assolutamente

Se dovessi indicarvi due luoghi da visitare assolutamente a Taipei, questi sarebbero la residenza della famiglia Lin e il tempio Lungshan.
 
 
La residenza Lin, compresa di giardino, occupa oltre 20.000 metri quadrati. La struttura principale (di proprietà privata e quindi non visitabile) fu terminata intorno al 1853 per volere di Lin Guo-hua (di cui vi ho parlato nella prima parte del post), mentre il giardino con i suoi padiglioni fu completato nel giro di 5 anni, dal 1888 al 1893, per volere di Lin Wei Yuan.


Il primo edificio che ci si trova davanti, una volta percorso il corridoio d'ingresso, è la biblioteca Jigu. Fu fatta costruire da Guo-hua e Guo-fang nella parte di giardino retrostante la loro abitazione, al fine di contenere la loro collezione di libri. La biblioteca si presenta come un edificio dipinto di un blu acceso, recante, all'ingresso, un padiglione retto da quattro pilastrini, circondato da diverse specie di bonsai.

 

Alle spalle della biblioteca, e diviso da essa attraverso un muro la cui forma segue il profilo delle montagne, si trova la stanza per lo studio Fangjian. Qui studiosi e poeti si incontravano e trascorrevano lunghe ore, dibattendo di svariati temi di studio. 

 

Il nome Fangjian, che significa letteralmente vetro quadrato, deriva dal laghetto che si trova di fronte la sala di studio, la cui superficie, di forma quadrata appunto, era talmente limpida da riflettere come uno specchio. Purtroppo questa peculiare caratteristica è un po' difficile da percepire ai giorni nostri, in quanto la superficie del laghetto è quasi completamente ricoperta da foglie di loto, muschi, e altre piante acquatiche.


Il laghetto è circondato sui quattro lati da edifici, tra cui un padiglione utilizzato come teatro, un altro  padiglione posto frontalmente ad esso e dedicato al pubblico che veniva a vedere gli spettacoli, una passerella a due piani che porta alla sala Laiching, e un ponte posto di fronte il sovracitato muro con la forma di montagne. Sembra che la passerella fosse stata incisa, in passato, con calligrafie realizzate da famosi calligrafi, non più riconoscibili a causa dell'usura del tempo.





Come già detto, percorrendo la passerella si arriva alla sala Laiching, l'edificio più alto del giardino. Il suo nome significa "l'arrivo del verde" perchè dal secondo piano dell'edificio era possibile avere una stupenda vista su montagne e campi verdi circostanti. 



L'edificio, realizzato da esperti artigiani che lo hanno abbellito con elaborate decorazioni, era usato come residenza per gli ospiti. Circondato da giardini su entrambi i lati, separati tra loro dal "muro dei fiori", su cui sono state ricavate delle finestre, fronteggia un palcoscenico, dove in passato gli attori intrattenevano gli ospiti.






Il "ponte arcuato della luna e dell'arcobaleno" divide il giardino della famiglia Lin in due parti: la principale e la secondaria. È chiamato così perchè la sua forma arcuata ricorda l'arcobaleno, mentre la porta scavata al suo interno ricorda una mezzaluna. Passando attraverso la porta si arriva alla loggia Shiang yu, mentre percorrendo il passaggio scavato all'interno del ponte si raggiunge la parte opposta del giardino, dove si trova la sala Guanjia.

 

La loggia Shiang yu è il luogo adibito alla visione dei fiori che crescono annualmente nel giardino adiacente. Il suo corridoio, illuminato da lanterne di carta gialla la sera, segue un percorso che curva a volte all'interno del muro del giardino e a volte all'esterno, creando quasi un gioco di forme e di spazi.



Percorrendo il corridoio fino alla fine ci si ritrova nei pressi della Terrazza della luna. Situata a centro di un piccolo laghetto è collegata alla terraferma attraverso un piccolo ponte. La sua struttura è chiamata, secondo l'architettura cinese, a doppio diamante, mentre il laghetto che la circonda riprende le fattezze di un fiore di melo. 




Sul lato destro ci sono delle scale a chiocciola che inglobano un albero secolare e simulano una catena rocciosa. Esse si collegano direttamente alla piattaforma sul tetto, usata in passato dalle signorine della casa per osservare la luna o pescare nel laghetto.

Alla Terrazza della luna e alla loggia Shiang yu è collegata anche la sala Dingjing, l'edificio più ampio e maestoso del complesso, usata come stanza degli ospiti o per celebrare feste e ospitare riunioni.


La sala Dingjing segue lo stile architettonico Siheyuan, si tratta cioè di un complesso di quattro edifici costruiti attorno ad una corte centrale. Vi si accede attraverso un atrio e varie porte d'ingresso decorate con motivi floreali. Oltre che luogo di riunione, questa sala è stata pensata anche per contenere alcuni dipinti e anticaglie di proprietà della famiglia.



Sul lato opposto del giardino si trova la sala Guanjia, di due piani, così chiamata perchè dal secondo piano dell'edificio era possibile vedere i contadini a lavoro nei campi. Di fronte alla sala si trova un minuscolo laghetto con ringhiere in pietra ricurve e due ponticelli. Vi si arriva passando attraverso una serie di muri a libro i quali presentano delle porte ottagonali e finestre a forma di frutta. 



Vicino all'edificio si trovavano inoltre un giardino di pavoni e una grotta, costruita dentro una montagna artificiale, nella quale si allevavano le scimmie. Sembra infatti che in passato, a prendersi cura delle scimmie si veniva nominati nobili, in quanto la parola nobile e la parola scimmia hanno lo stesso suono in cinese.


Parte terminale del complesso e zona di raccordo tra la sala Guanjia e la sala Dingjing è, infine, il lago delle ombre Banyan.

Questa zona del giardino cerca di riprodurre lo scenario montuoso della città cinese di provenienza della famiglia Lin. Il lago centrale riflette l'ombra dell'antico albero Banyan che qui si trova, oltre a quella dei vari altri padiglioni, di differenti forme, che fungono da luogo di riposo per coloro che amano percorrere la passeggiata che circonda il lago.





Durante la mia visita mi sono imbattuta in un servizio fotografico in costume tradizionale. Nonostante io sia riuscita a scattare solo foto piuttosto sgranate, la presenza della modella ha, in qualche modo, contribuito a rendere più vivi i luoghi, a immaginare i membri della famiglia Lin aggirarvisi all'interno.


L'edificio è tutt'ora in continuo stato di manuntenzione e restauro. Il fine è quello di preservare quanto più possibile un luogo che è stato gravemente danneggiato in seguito alla colonizzazione giapponese di Taiwan e alla guerra civile in Cina, durante la quale molti rifugiati si stabilirono all'interno della residenza Lin illegalmente e finirono con il distruggerla.

La visita, almeno a me, ha richiesto diverse ore. Sono uscita dal complesso soddisfatta, ma allo stesso tempo esausta e con lo stomaco brontolante. Visto iniziava a farsi tardi e non sapendo quanto tempo ci sarebbe voluto per visitare la meta successiva, ho deciso di fermarmi in zona per una cena anticipata e poi spostarmi in treno verso il tempio Lungshan.
Come per il pranzo, si è ripresentato il problema di trovare un ristorante le cui condizioni igieniche sembrassero accettabili, per cui ho finito per cenare in un ristorante di ramen vicino la stazione.
Ho poi realizzato trattarsi di una catena di ramen in stile giapponese. Niente, quella non era proprio la giornata per provare del cibo locale a quanto pare.
 
 
Ho ordinato un miso ramen che era del tutto simile per ingredienti e sapore alla versione giapponese, fatta eccezione per la grandezza della porzione. 
Il Giappone è famoso per le porzioni ridotte, se comparate ad altri Paesi, Italia compresa. Il ramen è l'unico piatto giapponese la cui porzione è sempre piuttosto generosa, anche in Giappone.
Ebbene, il ramen che mi sono trovata di fronte era grande il doppio di un ramen giapponese. Una porzione davvero esagerata pagata una miseria. Devo ammettere che nonostante la fame, non sono riuscita a finirlo.
 
Varcati i tornelli della stazione ho ripreso la linea blu, questa volta fino alla fermata Lungshan temple. Il tempio si trova proprio di fronte l'uscita della stazione.
 

Il tempio Lungshan si trova nel distretto di Manka, è stato fondato nel 1738 ed è dedicato alla dea buddista della misericordia Guan-Yin.
L'attuale complesso risale però al 1919, anche se buona parte del tempio andò poi distrutto durante l'attacco aereo dell'8 Giugno 1945. L'unica a salvarsi miracolosamente dal bombardamento fu proprio la statua di Guan-Yin, posta al centro della sala principale. Incaricato dei lavori all'epoca fu Wang Yi-shun, architetto famoso per la costruzione di templi nel sud di Fujian.
 

Attualmente il tempio si sviluppa quasi del tutto all'aperto e si divide in 3 sale: anteriore, principale e posteriore. Pur trattandosi di un tempio buddista, con il tempo, molte divinità del Taoismo hanno trovato posto nel tempio, come simbolo di tolleranza verso le altre religioni.
 
 
La sala anteriore è usata come entrata e come spazio per la preghiera. Wang ne decorò il portale di ingresso con grandi incisioni in pietra e legno, giocando sul contrasto di colori dei materiali usati. Le colonne circondate da dragoni sono invece in bronzo.
 

 
A collegare la sala anteriore a quella principale costruì altre due sale laterali su due piani con tetti a spiovente. Queste custodiscono la campana e il tamburo del tempio.



La sala principale contiene la statua di Guan-Yin affiancata da altre due divinità: Manjusri e Samantabhadra, oltre che da 18 statuine di Arhat, i seguaci di Buddha.
 


 
La sala posteriore fu creata solo dopo il 1792, quando Manka divenne porto ufficiale del governo cinese. Qui si venera la dea Mazu, protettrice dei navigatori, affiancata ai lati dal Dio della letteratura e dal Dio della guerra. Altre divinità sono state inoltre trasferite da altri templi quando questi sono stati chiusi.
 


Il tempio Lungshan è tra i più famosi di Taipei e frequente meta turistica. Mi ha colpito come nonostante questo ci fossero anche molti fedeli devoti intenti a pregare, pronti ad inginocchiarsi persino a terra pur di farsi ascoltare dalle divinità. A differenza del Giappone ho avuto la sensazione che a Taipei ci fosse un credo più forte e sentito.
 

Ormai sera, sono rientrata a casa della mia amica Jessica, non prima di scattare una foto al Taipei 101, che per l'occasione sfoggiava la sua luce arancione.


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