Giorno 18: Kyoto, una serie di sfortunati eventi


Se è vero che il buongiorno si vede dal mattino, posso ben dire che il risveglio di quella prima mattina a Kyoto annunciava l'arrivo di una tragedia, già dalla visita mattutina al bagno. Ospiti sgraditi e fastidiosi che si presentano puntuali ogni mese (le donne sanno bene di che parlo!) mi avevano infine raggiunta anche in Giappone. Ecco spiegato il motivo della stanchezza incolmabile della sera prima! 
E in quel momento erano lì, con conseguenti atroci mal di pancia, nausea e mollezza di gambe che sapevo già mi avrebbero reso un'odissea i prossimi 5 giorni a Kyoto.
Vi sembra che esageri a definire questo una tragedia?

© foxlife
Non è che fosse una novità è vero, sapevo che in un viaggio di un mese a un certo punto sarebbero arrivate, per cui sebbene il fastidio ero comunque preparata. No, il motivo per cui la definisco tragedia, è perchè si sa, quando le disgrazie arrivano, non vengono mai da sole, e le urla di mia sorella dal suo letto annunciavano che la catena di sfighe si era messa in atto.
Cosa fareste voi se una mattina vi svegliaste scoprendo di non riuscire più ad aprire un occhio?
Un gonfiore, come una pallina, sporgeva da sotto la palpebra, rendendole difficoltosa l'apertura dell'occhio sinistro. L'orzaiolo aveva fatto la sua comparsa. Sebbene il gonfiore non si notasse affatto ad occhi aperti, al toccarlo si percepiva chiaramente.
Ma tra tanti momenti per prendersi un'infezione all'occhio, perchè quando eravamo il più lontano possibile da casa? Non la invidiavo per niente. Se non è sfiga questa!
Nel panico su cosa fare abbiamo iniziato a mandare messaggi a familiari e conoscenti su come intervenire, sperando che ci fosse qualcuno sveglio, considerato il fuso orario. 
Tra le prime risposte pervenute, c'era quello di fare degli impacchi di camomilla. 
Ma chi ce l'aveva la camomilla? Chissà se il tè verde sarebbe andato bene lo stesso?

So che sono una sorella pessima ma era una scena talmente buffa che non ho potuto fare a meno di immortalarla.
Per fortuna alla fine è arrivata la risposta di qualcuno di competente che ci ha informate che la soluzione al problema erano gli antibiotici.
L'unica nota positiva, giusto a volerne trovare una, era che li avevamo con noi, portati da casa per precauzione, quindi ci siamo almeno risparmiate la ricerca di una farmacia. 
Ovviamente per far effetto gli antibiotici hanno richiesto vari giorni, per cui capirete se dico che i 5 giorni trascorsi a Kyoto sono stati i più brutti e devastanti di tutto il viaggio.
Nonostante il malessere diffuso con cui era cominciata la giornata, abbiamo deciso che seppure malandate, non ci saremmo arrese alla sfiga e avremmo seguito i nostri piani di viaggio come previsto, a partire dalla colazione che speravamo ci desse qualche energia per affrontare la giornata.

© Ilaria va fuori
Messi sul tavolo biscotti e cereali, preparato il tè e messo il latte a scaldare nel microonde, eravamo quasi pronte per fare colazione, quando un'odore acre ha iniziato a diffondersi per tutta la casa.
All'inizio davvero non capivo di cosa si trattasse, mi sono perfino affacciata al balcone pensando venisse da fuori. Il suono del microonde ha però riportato la mia attenzione sul latte. Non è che avevamo comprato senza farci caso una confezione già scaduta?
Ho tirato fuori la tazza dal microonde ma il latte all'interno non sembrava nè grumoso, nè tanto meno si era addensato come quando cuoci quello andato a male, eppure l'odore di acido veniva proprio da lì.


Sono andata a riprendere la confezione per sicurezza per cercare la scadenza, ma mi sono imbattuta in un'altra scritta in giapponese, fin troppo grande per non notarla, che ero ben in grado di leggere e capire, ma a cui, al momento dell'acquisto, non avevo prestato la minima attenzione, distratta dal disegno sulla confezione.
La confezione difatti riportava ben in evidenza la dicitura "nomu yogurt", cioè yogurt da bere. Non era latte! Avevamo riscaldato al microonde un'intera tazza di yogurt! Però scusate, dall'immagine non avreste pensato anche voi che fosse latte?


Mia sorella già giù di morale, vedendosi tolta pure il latte per la colazione ha avuto un crollo emotivo.
La giornata non era cominciata bene, l'umore non era alto e non ci sentivamo per niente in forma, eppure eravamo in Giappone. Se quella non era una motivazione sufficiente per trovare le energie per affrontare la giornata, non avrei saputo trovarne un'altra migliore.
Stretti i denti e raccolta la nostra forza di volontà siamo infine partite all'esplorazione di Kyoto.
Tappe della giornata: Castello di Nijo e Arashiyama.



Il castello di Nijo si trovava a circa 30 min in linea d'aria dal nostro appartamento per cui abbiamo deciso di raggiungerlo a piedi lungo una strada dritta porticata piena di negozietti.
Patrimonio UNESCO dal 1994, il castello fu costruito nel 1603 per essere la dimora ufficiale del primo shogun Tokugawa Ieyasu, ma fu completato solo nel 1626 con il terzo shogun Tokugawa Iemitsu. 
Il complesso del castello era composto da due edifici con relativi giardini, il Palazzo Ninomaru e il Palazzo Honmaru (non visitabile).

Palazzo Ninomaru

Palazzo Honmaru
Abbiamo visitato le varie sale che componevano il palazzo Ninomaru seguendo la linea ondulata dei corridoi, ogni stanza difatti era collegata all'altra attraverso un percorso a serpentina, secondo lo stile shoin-zukuri.


Ad ogni passo il pavimento continuava a cigolare, a nulla serviva cambiare andatura o tentare di fare il meno rumore possibile. Questo palazzo difatti è famoso per i suoi pavimenti, chiamati Usignolo. La struttura dei corridoi è stata progettata per far rumore con la pressione, per cui camminandoci sopra, si avverte come un "cinguettio" provenire dal pavimento. Appositamente voluti dallo shogun, avevano scopo difensivo, in quanto servivano a segnalare la presenza di eventuali nemici che fossero riusciti a penetrare nel castello.

© asahi.com

© arakawa-agri.cocolog-nifty.com

Tutte le stanze del palazzo presentavano pavimenti in tatami e coloratissimi fusuma decorati dagli artisti della scuola Kano, peccato non fosse possibile fare foto all'interno.

© pinterest

© inside Japan Tours

Delle 33 stanze di cui si compone il palazzo quella che sicuramente colpisce di più è la Ohiroma Ichi-no-ma. Oltre che per la sua indubbia bellezza estetica, di pari valore ad altre stanze del palazzo, ciò che fa quasi tremare le gambe a ritrovarsela davanti, è che qui ha avuto luogo un capitolo fondamentale della storia giapponese. Se non fosse successo, probabilmente il Giappone oggi sarebbe un luogo molto diverso da quello che è adesso, ancora un paese chiuso ed inaccessibile, soggetto al governo feudale e militare dello shogunato. Se non fosse successo, probabilmente non avrei mai avuto la possibilità di trovarmi a Kyoto, in visita a quel palazzo, nè tanto meno in Giappone, anzi probabilmente non avrei avuto nemmeno accesso a tutto ciò che mi ha fatto interessare alla cultura di questo Paese.

© web-japan.org.jp

Sto parlando dell'Ottobre 1867, quando in quella stanza lo shogun Tokugawa Yoshinobu convocò tutti i lord feudali del Paese, per annunciare che avrebbe restituito la sovranità e il controllo del Giappone all'Imperatore. Era la fine di 270 anni di supremazia militare dello shogunato Tokugawa e la base per l'inizio della Restaurazione Meiji.

© slideshare
Alle spalle del palazzo Ninomaru si trovava il giardino omonimo che aveva il suo punto focale nel laghetto, caratterizzato da un'isola centrale e due più piccole ai lati, progettato dal famoso Kobori Enshu.


Attraversando un ponticello siamo poi arrivate al palazzo di Honmaru e ai suoi giardini. L'originale palazzo si trovava in una zona isolata, circondata da un fossato. Distrutto da un incendio nel 1788, la struttura visibile oggi, è in realtà un'altra, la quale faceva parte del Palazzo Imperiale di Katsura ed è stata spostata qui dal giardino Imperiale di Kyoto.




Del complesso del castello era parte anche il giardino Seiryu-en di cui abbiamo potuto apprezzare i colori autunnali ma anche i suoi elementi più strettamente giapponesi.



Terminata la visita del castello ci siamo dirette verso la tappa successiva. Avendo con noi il JRP il modo più conveniente per raggiungere Arashiyama era via treno. La fermata JR più vicina al castello era la stazione di Nijo, per cui ci siamo fatte altri 30 min a piedi per raggiungerla e abbiamo finalmente preso la JR Sagano line fino alla stazione di Saga Arashiyama.
La stazione di Arashiyama è subito riconoscibile perchè presenta all'esterno la sua personale foresta di kimono, su rifacimento della foresta di bamboo per cui è gettonatissima meta turistica.


Già affamate abbiamo deciso di posticipare la visita dopo pranzo e ci siamo dirette alla ricerca di un ristorante. La piccola stradina che portava dalla stazione al ponte Togetsukyo (lett. ponte che attraversa la luna) era talmente gremita di turisti da rendere difficoltoso il passaggio. In un'attimo mi sono sentita come trasportata dentro Takeshita dori, con conseguente attacco di nervi, incrementato dalla fame. Ma quanta gente c'era?
Con molta difficoltà abbiamo raggiunto il fiume e poi il ristorante nel quale avevamo pensato di mangiare. Il cameriere all'ingresso ci ha accolte con l'inquietante notizia che c'era una lista d'attesa di due ore per poter avere un tavolo. Chi ce la faceva a resistere tanto?


A malincuore ci siamo immesse nuovamente tra la calca di persone alla ricerca di un altro ristorante. File sterminate ad ogni locale che vendesse qualcosa di commestibile ci hanno infine fatto prendere una decisione strategica, accodarci al locale con la fila più corta.
Appena la cameriera ci ha visto avvicinarci ci ha subito messo in mano un menù, in modo da decidere cosa mangiare già in coda ed ottimizzare i tempi. Quando infine siamo entrate, la cameriera ha preso la nostra ordinazione e siamo state fatte accomodare in un tavolo con altre due signore, molto simpatiche.


Si vedeva chiaramente che la ressa di persone aveva fatto dimenticare i modi cordiali tipici dei giapponesi allo staff del locale. In primo luogo non ci hanno portato l'acqua come si fa subito nei ristoranti in Giappone appena ti siedi e poi ce ne hanno portato solo un bicchiere. La caraffa è arrivata quasi a fine pasto dopo aver cercato varie volte di farci notare dalla cameriera che affaccendata com'era non prestava la minima attenzione a chi era già seduto. Inoltre, seppure non fosse affatto un problema per noi condividere il tavolo con altre persone, in ogni ristorante in cui avevamo mangiato, ci era sempre stato chiesto dal cameriere giapponese di turno se eravamo disposte a sederci con altri prima di entrare. Qui invece ci hanno solo indicato un tavolo da quattro. Io e mia sorella, per abitudine, ci siamo sedute l'una di fronte all'altra, quando la cameriera è arrivata di corsa dicendomi di spostarmi al lato di mia sorella perchè altre due persone dovevano sedersi lì. Dirlo prima no?
Nonostante questo devo dire che i piatti presentatici sembravano buoni e anche abbondanti. Mia sorella ha preso un set comprendente katsudon (cotoletta di maiale impanata e fritta, servita su una ciotola di riso, con brodo e uovo) e zuppa di miso, mentre io ho preso un set con udon in brodo, curiosa di assaggiarli.


Gli udon sono la mia pasta giapponese preferita, per cui visto da quando mi trovavo in Giappone non ero ancora riuscita a mangiarli, ho colto l'occasione al volo. Se il katsudon ha fatto leccare i baffi a mia sorella, devo dire che i miei udon mi hanno fatto abbastanza storcere il naso. C'era qualcosa nel sapore di tutta la zuppa che proprio non mi piaceva, il riso di accompagnamento poi era scottissimo, per cui non sono riuscita a mangiare neppure quello. Probabilmente sarà dipeso anche dal fatto di non sentirmi bene e di percepire i sapori in maniera alterata, ma l'unica cosa che mi è davvero piaciuta del mio set è stato il tofu (che tra l'altro di solito non mi piace, il che è alquanto strano).


Riimmergersi nella ressa di persone per raggiungere la foresta di bambù è stato straziante. Gente che ti veniva addosso, spintoni, code interminabili. Mi sono detta che doveva valerne la pena se questa foresta era tanto famosa in tutto il mondo.


A ogni passo riuscivo ad immaginarne sempre più chiaramente i tratti e mi preparavo a trovare aggettivi per descriverla a chi mi avrebbe chiesto di parlargliene. Meravigliosa, maestosa, lussureggiante, queste erano le parole che mi venivano alla mente. Eppure quando mi sono effettivamente trovata lì l'unico aggettivo che mi sembrava riuscisse davvero a descrivere a pieno quello che avevo davanti era.... piccola. Piccola e affollata. Ma quanto era piccola! Con che coraggio la chiamavano foresta? C'erano più turisti che canne di bambù. In qualunque direzione si puntasse l'obiettivo c'erano individui a ostacolare la visuale. Inutile dire che per avere una foto libera da persone bisognava puntare verso l'alto.


La sensazione negativa forse in gran parte è dipesa dal mio malessere e dalla mia generale insofferenza ai luoghi piccoli e affollati, ma ancora oggi continuo a pensare che la foresta di bambù di Arashiyama è bella solo in foto.


La visita mi ha talmente snervato che ho persino deciso di rinunciare a fare il giro sul risciò che attendevo dall'inizio del viaggio. Sebbene avessi avuto tante altre possibilità per provare quest'esperienza prima, avevo sempre posticipato. Il motivo è futile quanto banale. Volevo una foto sul risciò dentro quella che mi sembrava una bellissima foresta (povera illusa), in cui lo shafu (conducente) indossasse la maglia con sulla schiena il kanji "Arashi" (chi segue il blog da un pò può ben intuirne il perchè... fangirl mode on ).


Di questa dolorosa rinuncia ne ha giovato sicuramente il nostro portafoglio. Quaranta euro per mezz'ora è davvero uno sproposito.
Attraversata la foresta siamo infine giunte al tempio Tenryuji, considerato uno dei 5 templi più importanti a Kyoto come centro del buddismo zen. Purtroppo anche qui c'era moltissima gente per cui, stremate come eravamo, ci siamo limitate a dare uno sguardo da fuori, prima di riprendere il treno per tornare a casa.



Nuovamente alla stazione di Nijo, abbiamo affrontato l'ora di strada a piedi che ci separava dai nostri scomodi letti. Nonostante la molta stanchezza accumulata, la passeggiata di ritorno è stata piacevolissima, lontane dall'estenuante calca di turisti, ci siamo godute davvero Kyoto, scoprendo anche piccoli scorci o dettagli inaspettati, come il mosaico vicino la stazione, o delle carinissime case con ingressi in stile tradizionale.



La giornata è terminata nel modo più dolce possibile, cioè godendoci una puntata di vs Arashi direttamente sul piccolo schermo (le meraviglie di essere una fangirl in Giappone 😍).



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Al prossimo post!

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