Giorno 19: Kyoto, riuscire a scorgere la bellezza

<<Mio padre [...] m'insegnò che "nulla sulla terra è bello quanto il Padiglione d'oro". [...] e così, quando vedevo i minuscoli fiori d'estate ghiocciare rugiada come se irradiassero una flebile luce, essi mi apparivano non meno belli del Padiglione d'oro. E ancora, quando le grigie gravide nubi bordate d'oro si sospendevano dense al di là delle colline, la loro magnificenza mi ricordava quella del Padiglione. E giunse perfino il momento in cui, incontrando un bel viso, mi sorgeva spontaneo definirlo "adorabile come il Padiglione d'oro">> così Mizoguchi, protagonista del romanzo Il Padiglione d'oro di Yukio Mishima, immaginava la bellezza del Kinkakuji. E con quest'idea anche noi siamo uscite di casa quella seconda mattina a Kyoto.


L'occhio di mia sorella era peggiorato, come anche il mio mal di pancia, ma ormai forti di aver superato con successo la visita del giorno precedente, ci sentivamo in grado di superare qualunque cosa.
Il modo più rapido per arrivare al Kinkakuji da casa nostra era prendere l'autobus 12 e scendere alla fermata Kinkakuji-mae, ma partendo dalla stazione di Kyoto consiglio di prendere l'autobus 101 fino a Kinkakuji-michi perchè fa meno fermate.
Il Kinkakuji fa parte del tempio Rokuonji, ma effettivamente poco o niente presenta questo tempio da vedere, oltre il Padiglione d'oro.


Illuminato dai raggi del sole, il Kinkakuji splendeva di una luce quasi mistica, mentre si specchiava sulle acque di un azzurro intenso del laghetto di fronte. Difficile non rimanere colpiti da colori tanto intensi e vivaci, un gioco di riflessi che incatenava immediatamente lo sguardo. Quello è stato il mio primo impatto con il Padiglione d'oro.


Dire che nulla sulla terra è più bello del Kinkakuji è sicuramente un'esagerazione (vedi Nikko), ma sicuramente poteva con diritto occupare una posizione alta tra le cose belle da vedere in Giappone. Sulla mia prima impressione molto ha influito sicuramente la bella giornata, con un cielo grigio e senza tutti quei riflessi che si propagavano dal padiglione all'acqua, probabilmente lo avrei trovato mediocre e non così interessante.


Invece ero lì con gli occhi che non riuscivano a staccarsi, calibrando i passi per evitare di perderlo di vista troppo presto. Non volevo davvero staccare lo sguardo, ma tra uno spintone a destra e una testa che si interponeva alla vista da sinistra, anche solo ammirare qualcosa in lontananza diventava un problema. Ogni angolo di giardino, specialmente intorno al lago, era talmente gremito di turisti, da farsi venire uno attacco di claustrofobia anche se si era all'aperto.


Non si riusciva a vedere, non si riusciva a scattare una foto senza difficoltà, non si riusciva a non essere spintonati in malo modo tutto il tempo. Se avete letto i miei post su questo blog finora, sapete bene quanto io davvero poco sopporti i luoghi molto affollati, peggio ancora se piccoli, per cui mi capirete se vi dico che il Kinkakuji l'ho amato nella stessa misura in cui l'ho odiato. I miei passi continuavano a cambiare di andatura, insieme ai sussulti del mio cuore, passando da un voglio restare a contemplare tanta meraviglia a voglio andarmene immediatamente perchè non reggo più la gente.


Ho sopportato tanto quanto ho potuto, poi ho proseguito oltre.
Seconda tappa della giornata era il Ryoanji. Dal Kinkakuji ci si arriva tranquillamente a piedi con una breve passeggiata.
Il Ryoanji è quel tipo di tempio che con la sua architettura essenziale e il suo giardino secco, fatto solo di rocce e ghiaia, ti trasmette un senso di calma immediata.



Ho amato soprattutto le sue ampie sale in tatami con i fusuma disegnati, l'ampia scalinata d'accesso, il modo in cui la luce del sole veniva filtrata dagli alberi. Ricordo la chiara sensazione di poggiare i piedi sul legno del pavimento e cominciare a percepire il tempo in maniera diversa, come se rallentasse, persino la folla di persone al suo interno sembrava scorrere più lentamente, sfiorarti ma non spingerti. La magia di una pace interiore che ti inonda come un fiume, ma con la delicatezza dei petali dei fiori che cadono.




Uscite dal Ryoanji era già ora di pranzo e visti i tanti templi ancora da vedere durante la giornata abbiamo deciso di non visitare il Ninnaji, non troppo distante da lì, ma di andare a prendere l'autobus per spostarci  nella zona di Higashiyama Sud. Avvistata una fermata del bus, abbiamo poi scoperto che da lì passava anche un autobus JR. Perchè non avevo trovato nessuna informazione a riguardo su internet? Avrei risparmiato i soldi del viaggio d'andata. In ogni caso anche questa volta, come a Kanazawa, l'autobus JR è arrivato prima di avere il tempo di capire a quale fermata avremmo dovuto scendere, per cui ci è toccato nuovamente improvvisare. Ricordate cosa successe l'ultima volta? Bene, diciamo che il risultato è stato praticamente lo stesso, con la differenza di aver finito per camminare per ben un'ora e mezza, convinte di essere ben più vicine di quanto fossimo in realtà.

© Sk21
A dire il vero in questo caso ciò che abbiamo sbagliato non è stata la fermata, ma la decisione di non prendere un altro autobus per avvicinarci al luogo che volevamo visitare. L'autobus JR, che tra l'altro non ha corse nemmeno troppo frequenti, percorre, difatti, solo la tratta Stazione di Kyoto - Ryoanji e non copre assolutamente la zona di Higashiyama, per cui la fermata alla quale siamo scese era comunque la più vicina rispetto a dove eravamo dirette.
Abbiamo iniziato a camminare in direzione del santuario Yasaka pensando che in una trentina di minuti scarsi saremmo arrivate, invece dopo mezz'ora eravamo ancora su quella strada dritta di cui non si vedeva la fine. Visto era l'ora di pranzo, abbiamo deciso di continuare a camminare e di fermarci nel primo ristorante che incontravamo che avesse dei prezzi accettabili.

© Wikipedia
Sembrava che a Kyoto ci fosse un ristorante ogni 2 metri eppure su quella via non siamo riuscite a trovarne neppure uno, abbiamo continuato a camminare e camminare quando infine, giunte quasi al santuario, abbiamo scorto una via commerciale che incrociava la strada che ormai percorrevamo da troppo tempo.

© filipinojulian.wordpress.com
Abbiamo deciso di imboccarla e dopo un pò di giri, quando ormai disperavamo di riuscire a trovare qualcosa da mettere sotto i denti, ci siamo imbattute in un ragazzo con dei volantini, che ci ha proposto di provare il ristorante in cui lavorava. Si trattava di un ristorante vegetariano con formula all you can it a prezzo fisso, che proponeva solo verdure ed ortaggi di stagione provenienti da agricoltori della zona di Kyoto. Non costava molto e ci siamo dette che mangiare un pò di sana verdure poteva farci solo bene. E poi eravamo distrutte e affamate, non avevamo proprio la forza di proseguire oltre, alla ricerca di un altro posto.

© TripAdvisor
All'ingresso del locale si trovava una macchinetta in cui pagare, e già da lì si riusciva a vedere buona parte del buffet. C'era qualche piatto caldo come zuppa di miso e riso al curry, e molte varietà di verdure fresche e insalate.

© TripAdvisor
Un altro ragazzo all'ingresso ci ha spiegato, con un inglese davvero pessimo, il funzionamento della macchinetta, e ha avuto persino il coraggio di arrabbiarsi con noi perchè gli abbiamo chiesto di ripetere, visto non avevamo capito. Se non avessi sentito di star crollando di fame e stanchezza, oltre ad avere urgenza di passare in bagno, giuro che avrei lasciato il ristorante per il modo davvero scortese con cui si è rivolto a noi. Ci mancava poco che ci desse delle stupide. Ha premuto alcuni tasti sulla macchinetta con fare molto scocciato e ci ha intimato di sbrigarci a pagare. Mai vista tante cattive maniere. In tutto questo non si è minimamente degnato di spiegarci il funzionamento del buffet, per cui ci siamo un po' arrangiate copiando gli altri presenti.


Il ristorante era quasi pieno ma siamo riuscite a trovare un posticino libero al secondo piano, da cui dovevamo continuare a fare sali e scendi per prendere da mangiare al buffet che si trovava al primo. C'erano alcuni vassoi su cui appoggiare i piatti che ci si riempiva al buffet, mentre in un altro angolo c'erano le posate e i bicchieri. L'acqua invece era al secondo piano.

© TripAdvisor
Da alcune foto viste poi su internet il buffet non doveva essere male, ma forse perchè quando siamo arrivate era già tardi, c'era rimasto ben poco e nonostante sia riuscita a fare una buona scorpacciata di insalata, devo dire di essere uscita da lì un pò delusa.

© TripAdvisor
Giungere infine in vista del portale d'accesso al santuario Yasaka è stato come trovare finalmente un oasi dopo giorni di traversata del deserto. Sembrava quasi non dovesse comparire mai all'orizzonte, tanto che una volta arrivate ci siamo persino chieste se fosse il posto giusto. Il fatto è che il santuario Yasaka sorprende dal primo minuto. A partire dal fatto di non presentare nessun torii d'accesso all'area sacra, bensì un portale monumentale tipico dei templi buddisti. Come vi avevo già spiegato in altri post difatti, prima il confine tra queste due religioni non era così netto, per cui succedeva spesso di trovare delle commistioni architettoniche e stilistiche tra queste due correnti.


Il santuario Yasaka segna in qualche modo l'esatta metà tra la zona di Higashiyama Sud e Higashiyama Nord, sicuramente le aree più antiche e tradizionali di Kyoto, ricche di templi e santuari, che con le loro stradine che fiancheggiano il fiume, le mura basse e le casette in legno trasportano immediatamente indietro nel tempo. La cosa più bella della visita di Higashiyama Sud, a cui abbiamo deciso di dedicare il resto del pomeriggio, è stato proprio il passeggiare e perdersi tra le antiche viuzze, lasciarsi guidare dall'istinto nella scelta dei santuari e templi da visitare (ce ne sono talmente tanti che è impossibile vedere tutto), abbandonare per un attimo le mire da visitatrice folle e concedersi solo un pò di bellezza.


Il santuario Yasaka ci ha accolto con ampi spazi, meravigliose lanterne di carta, piccoli santuari dislocati al suo interno e visitatrici in coloratissimi kimono. L'ho amato soprattutto per il contrasto di pieni e vuoti, spazi ampi e spazi piccoli per cui si caratterizzava.




Proseguendo lungo la Nene no michi, la strada che ha preso il nome dalla moglie del samurai Toyotomi Hideyoshi che qui era solita passeggiare, ci siamo quasi naturalmente ritrovate al Kodaiji.
Questo tempio fu costruito nel 1606 in memoria proprio di Toyotomi Hideyoshi, per volontà della moglie, adesso anch'ella qui venerata. Proprio per questo motivo, questo tempio è in qualche modo dedicato al loro amore e piccole statue che li rappresentano si trovano all'ingresso.



Due giovani che affidano il loro amore alla coppia
Il tempio è famoso inoltre per due stupendi giardini, ma già piuttosto provate dalla stanchezza accumulata durante la giornata, abbiamo deciso di non visitarli, limitandoci ad un giro del santuario Tenmagu, che comunque ci ha regalato una buona dose di fortuna da distribuire per il resto del viaggio.


Mia sorella si è precipitata a toccare l'occhio del piccolo bue all'ingresso, che aveva il potere di guarire dalle malattie. Sembrerebbe infatti che toccando la parte del corpo della statua corrispondente a quella malata, il bue si faccia carico delle sofferenze di chi confida in lui. Effettivamente dopo qualche giorno in cui l'occhio di mia sorella ha subito un grave peggioramento, l'orzaiolo è sparito del tutto. Merito del bue o degli antibiotici?
Io ho preferito guadagnarci in conoscenza, facendo ruotare le Mani Sha, le ruote buddiste con sopra scritto il Sutra del Cuore e affidando loro i miei desideri.



Lasciato anche questo luogo sacro i nostri passi ci hanno portato a Sannenzaka che il sole era ormai tramontato. Sannenzaka è un susseguirsi di piccole case in legno lungo una via stretta che conduce con le sue scalinate su per la collina.  Un piccolo mondo antico che mi ha conquistata da subito. Quello era il Giappone dei sogni, di spazi piccoli, intimi e accoglienti, del legno, del tè e delle tradizioni. Sarei potuta rimanere lì in eterno se solo non fosse stato così affollato. Troppi turisti. Troppi. E decisamente troppo poco spazio per contenerli. Si può davvero cogliere la bellezza come si dovrebbe venendo spintonati tutto il tempo?



Le casette in legno erano state trasformate per lo più in negozi di souvenir. Ci siamo fermate in un negozietto che vendeva tè verde, dove un cartello spiegava le diverse tipologie di tè e la loro preparazione. Abbiamo finito con l'acquistare del tè gyokuro e un sacchettino di kompeito, dei coloratissimi zuccherini.




Non ho neppure potuto evitare uno stop al negozio di ombrelli per fare un acquisto. Dove altro mi sarebbe capitato di trovare un ombrello su cui, al cadere della pioggia, compaiono, come per magia, coniglietti e fiori di ciliegio?


Siamo infine giunte al Kiyomizudera che era già sera, per cui siamo riuscite ad entrare solo perchè nel mese di Novembre molti templi e santuari aprivano anche la sera ad un prezzo maggiorato, offrendo delle particolari illuminazioni notturne.


Se Sannenzaka era affollata, al Kiyomizudera la situazione era ingestibile. La sua famosa terrazza, costruita con pilastri di legno incastrati senza l'uso di chiodi, sosteneva così tanta gente che per un attimo l'ho immaginata ribellarsi, vomitandoli tutti oltre la balconata.



Il Kiyomizudera era uno dei templi che più ci tenevo a vedere e che mi affascinava di più. Il suo nome, che significa "tempio dell'acqua pura", è dovuto alla presenza della cascata sacra Otowa all'interno del complesso. Questa cascata è stata incanalata in tre rivi i quali sembra portino fortuna in differenti ambiti a chi beve da essi: successo, longevità e amore. Quale rivo serviva a cosa non ci è stato dato sapere, per cui alla fine siamo andate un po' a caso affidandoci alla fortuna. Bere da più di uno difatti, era segno di avidità ed avrebbe attirato la cattiva sorte. A distanza di tempo posso dire che devo aver beccato quello della longevità, di cui non mi importava affatto, visto che finora di amore e successo nemmeno l'ombra nella mia vita. Pazienza.


Le luci notturne mettevano in evidenza il colore vermiglio del tempio e della pagoda, mentre le stupende foglie autunnali comparivano nel buio assoluto come in un dipinto a lume di candela del Seicento.



Questo se vogliamo sforzarci di cogliere la bellezza del momento. Se invece vogliamo vedere il lato pratico, non si vedeva assolutamente niente, la gente ti veniva addosso pestandoti i piedi come se niente fosse e ho rischiato più di una volta di cadere giù dalla scalinata perchè non vedevo a un palmo dal mio naso. Ma con tanta gente che lo visita era chiedere troppo un'illuminazione più funzionale?
Lo so, non sarebbe stato altrettanto scenografico, mal almeno nessuno avrebbe rischiato la vita ad ogni passo.



Sarei voluta rimanere di più, riuscire a godermelo in modo pieno e incondizionato, ma la stanchezza era tanta e tale da non permetterci davvero di resistere oltre. Siamo tornate sui nostri passi andando a prendere l'autobus che ci avrebbe ricondotte a casa alla fermata di Gion. Se vi dicessi quanto tempo ha impiegato l'urbano per percorrere i primi dieci metri, capireste perchè mi lamentavo dei trasporti di Kyoto. C'era talmente tanto traffico che per un fugace attimo ho pensato di scendere e ripercorrere a piedi tutta la strada che avevamo fatto la mattina per arrivare ad Higashiyama, per fortuna il dolore ai piedi mi ha fatto rinsavire in fretta.

Se qualcuno volesse saperne di più sui luoghi visitati:
Kinkakuji
Ryoanji
Kiyomizudera

Se il post vi è piaciuto potete seguirmi su Facebook e Instagram e condividerlo sui social.
Al prossimo post!

Commenti

Post popolari in questo blog

Giorno 20: Kyoto, top of the mountain - la scalata attraverso i torii rossi

I miei 3 posti preferiti a Malta

Hasedera