Giorno 27: Tottori, il deserto in Giappone


Parlando di destinazioni da sogno, avete una vostra preferita?
Come molti di voi sapranno al primo posto nella mia personale classifica c'è sempre stato il Giappone. Quello che molti invece non sanno è che il secondo posto è da sempre occupato dall'Egitto. 
Da siciliana questa destinazione non mi sembrava poi così lontana o irraggiungibile. Pensavo che prima o poi ci sarei andata, anzi quasi credevo che sarebbe stato più facile visitare l'Egitto che il Giappone, in fondo rispetto a quest'ultimo la terra dei faraoni sembrava proprio dietro l'angolo.

© TURISMO.it

Tra le tante caratteristiche che mi affascinavano di questo Paese c'era sicuramente la millenaria cultura egizia e tutto ciò che di essa era testimonianza (piramidi, sfingi, mummie...) ma anche i paesaggi tipici del continente africano, in particolare il deserto.
A causa della forte instabilità politica degli ultimi anni però, l'Egitto è diventato un paese da visitare "a vostro rischio e pericolo". Per cui mi capitava spesso di controllare a riprese il sito della Farnesina "Viaggiare sicuri" nella speranza di veder scomparire quel triangolino indicante pericolo da sopra lo Stato, ma sembrava non succedere mai. 
Non c'era nessuna certezza di quanto a lungo si sarebbe protratta quella situazione, per cui mi ero in qualche modo rassegnata all'idea che io il deserto non avrei avuto modo di vederlo ancora per un bel pezzo.

© La Stampa
A pochi giorni dalla partenza per il Giappone, quel piccolo cruccio era dimenticato in un cassetto della mia memoria. Il viaggio dei sogni stava per avverarsi, chi pensava più all'Egitto?
Il mio piano da combattimento, la maratona di un mese, minuto per minuto, era definito e tutto sembrava quadrare alla perfezione, ogni attività da fare e treno da prendere si incastravano tra loro al millimetro senza lasciare tempi vuoti. Non c'era spazio per inserire altre tappe (e Dio solo sa a quante avevo già rinunciato), cambi di programma o per riposare. Tutto era pronto e nulla poteva essere modificato.

© Fant-Asia travel
E poi mi sono ritrovata davanti, per puro caso, un articolo che mi informava che in Giappone esisteva un'area desertica dove c'erano persino i cammelli, e il desiderio di vedere la sabbia del deserto è risaltato fuori prepotentemente da quell'angolino della mia testa in cui l'avevo lasciato.
Avete presente il detto: "Meglio un uovo oggi che una gallina domani"? Io la pensavo alla stessa maniera.
Chissà quando e se mai sarei riuscita ad andare in Egitto. Se in Giappone c'era il deserto io dovevo andarci. Quello era il mio uovo. Alla gallina, cioè all'Egitto, ci avrei pensato se si fosse presentata la possibilità in futuro.



Non vi racconto la fatica immane e le rinunce (Hiroshima avrei voluto avere più tempo da dedicarti 😭) che ho dovuto fare per riuscire a incastrare Tottori (questo è il nome della città con le dune di sabbia) nel già fittissimo piano di viaggio. Il più grosso problema è stato far corrispondere i treni in modo da arrivare ad Hiroshima in serata dove avevamo prenotato l'ostello, e allo stesso tempo avere sufficienti ore per la visita di Tottori.

© Japan Travel
Ma andiamo con ordine.
Quella mattina ad Osaka la sveglia è suonata molto presto. Solita tiritera per far alzare mia sorella dal letto, più almeno un'ora e mezzo perchè si svegliasse e sistemasse.
Abbiamo fatto colazione con un cestino sfiziosissimo che avevamo comprato ad un prezzo stracciato la sera prima ad un banchetto in stazione. Comprendeva quattro panini, tre dolci (uno ripieno di marmellata di fagioli, un melonpan e un pinguino ripieno di cioccolato) e uno salato al formaggio e persino il cestino era fatto di pane. Ne abbiamo mangiati due e il resto ce lo siamo spazzolato tra pranzo e merenda.



Siamo quindi scese in reception per fare il check out e il takkyubin. Volevamo spedire le valigie grandi direttamente a Tokyo in modo da viaggiare più leggere, ma destino ha voluto che il receptionist non riuscisse a trovare i moduli da compilare.
Il mio obiettivo era riuscire a prendere l'unico treno diretto Osaka -Tottori della mattina, il Limited Express Super Hakuto, e per una volta che ero riuscita a far uscire puntuale mia sorella ecco che la sfiga si accaniva contro di me nella veste del receptionist più assonnato e svogliato dell'universo.

© OsakaStation.com
Tra uno sbadiglio e l'altro, alla fine il receptionist i moduli li ha trovati, peccato fossero quelli che prevedevano il pagamento alla consegna. In mancanza di altro ce li siamo fatti andare bene, ma che fine avrebbero fatto le nostre valigie se alla consegna non fossimo state presenti per pagare? Abbiamo così specificato di consegnare le valigie in hotel a Tokyo tra due giorni e abbiamo incrociato le dita sperando di rivedere le nostre cose.

© Kanpai.fr
Com'era prevedibile la perdita di tempo al check-out ha avuto come conseguenza la perdita dell'unico treno diretto. Per un attimo mi sono chiesta se quello fosse un segno. Dovevo lasciar perdere e andare direttamente ad Hiroshima?
Mia sorella però mi ha convinto ad insistere. Non potevo rinunciare a realizzare un sogno solo per una piccola avversità. Sarei andata a Tottori anche se ciò significava dover cambiare treno ben quattro volte ed avere un'ora di tempo in meno per visitare la città.
Il viaggio alla fine è avvenuto senza intoppi, tranne il fastidio di salire e scendere praticamente ogni mezz'ora. Va da se che nella mia mente ho maledetto il receptionist ad ogni cambio: Osaka - Shin Osaka, Shin Osaka - Aioi, Aioi - Kamigori, Kamigori - Tottori.

© reddit.com
La stazione di Tottori ci ha accolto con una coloratissima esibizione di danza. Musica allegra e ombrelli che ruotavano. Peccato non abbiamo fatto in tempo ad uscire dai tornelli che era già finita. Me lo ricordo come fosse ieri ma non ho fatto in tempo a catturare nessuna testimonianza. Ma voi siete fortunati perchè grazie ad internet vi ho reperito una foto.

© Blupoint travel

Si trattava di una dimostrazione della Kasa-odori, una danza che viene eseguita ogni anno durante lo Shan-shan festival di Tottori.
Lasciati i nostri bagagli in un coin-locker (ho dovuto prendere quello più grande e costoso perchè l'ombrello che ho comprato a Kyoto non ci stava 😥) siamo andate a comprare i biglietti dell'autobus  per raggiungere il tanto agognato deserto.
Noi siamo arrivate nel weekend per cui abbiamo potuto prendere l'autobus turistico che costa leggermente meno rispetto all'urbano. Una ventina di minuti ed eravamo a destinazione.
 

Nonostante quanto detto fin ora, appena arrivate, il deserto non è stato il primo luogo nel quale ci siamo dirette, bensì il secondo.
La visita è cominciata invece dal Museo della Sabbia. A chiunque si trovi a Tottori consiglio assolutamente questo museo. Mi aveva incuriosito grazie alle foto di alcune mostre avvenute qui negli anni precedenti e devo dire che anche durante la nostra permanenza non ha deluso le aspettative.


Il museo ospita solo mostre temporarnee che cambiano di anno in anno e riguardanti uno specifico tema. La prima mostra tenutasi nel museo nel 2006 aveva come soggetto l'Italia ed è nata dall'incontro tra il giapponese Katsuhiko Chaen e l'italiano Leonardo Ugolini, entrambi specialisti nell'arte della scultura di sabbia.
Da allora le mostre si sono ampliate di anno in anno con la realizzazione di sempre più numerose sculture e coinvolgendo specialisti da tutto il mondo.

Katsuhiko Chaen al lavoro © zimbio
Leonardo Ugolini al lavoro © zimbio
Quando siamo andate noi la mostra in corso aveva come tema il Sud America e presentava ben 19 sculture realizzate con la collaborazione di 19 artisti.
Le sculture erano davvero una più bella dell'altra. Il Cristo Redentore di Rio de Janeiro, simbolo dell'indipendenza del Brasile dal Portogallo, apriva le sue braccia attraverso due blocchi diversi di sabbia. 




La città leggendaria di El Dorado occupava un'intera parete della sala. Perfetta in ogni dettaglio, includeva addirittura una cascata al suo interno, mentre il colore dorato della sabbia la faceva risplendere tanto quanto l'oro di cui si diceva essere fatta.



Altre sculture raffiguravano avvenimenti della storia dell'America latina o eventi culturali.




La mia scultura preferita però, rimarrà sempre quella raffigurante Machu Picchu, la città Inca costruita nella valle di Urubamba. Proprio a causa di questo luogo il Perù si trova al terzo posto nella mia classifica delle destinazioni da sogno. Machu Picchu è chiamata "la città del cielo" in quanto non è visibile dai piedi della montagna, ma solo dall'alto. Ho adorato che la sua raffigurazione in sabbia sia stata volutamente nascosta, anch'essa visibile solo dall'alto e cioè dal corridoio del secondo piano.


La visita del museo si concludeva con un percorso all'aperto che conduceva prima ad alcune sculture di sabbia e poi ad un piazzale con vista sul deserto e la campana della felicità.





Lo so cosa state pensando. Più che un deserto quella sembra una spiaggia. Effettivamente l'ho pensato anch'io. Da lontano sembrava immensamente piccolo, eppure posso assicurarvi che camminarci all'interno era tutta un'altra cosa. Sfondare con i piedi tra i finissimi granelli di sabbia, inalare a pieni polmoni fino a scoprire l'odore del vento è stata una sensazione meravigliosa che mi ha dato infinita leggerezza e serenità. Davvero poco importava che le dune di sabbia di Tottori si estendessero solo per 30 km² prima di raggiungere il mare.




Abbiamo proseguito verso il punto di partenza del tour sui cammelli. Lo so che era la cosa più turistica e sciocca da fare ma io su un cammello non c'ero mai salita e morivo dalla voglia di provare.
Tra i vari cammelli presenti la maggior parte erano talmente smilzi e rinsecchiti che dubitavo fortemente sarebbero riusciti a reggere il mio peso. L'unico che mi dava fiducia era una signorina dal manto chiaro, vanitosetta e in carne, che andava in giro con una mantellina rosa e un fiocchetto in testa. L'avevano combinata in maniera più ridicola degli altri, eppure lei avanzava con fare sicuro e impettito, niente a che vedere con gli altri cammelli che quasi facevano fatica a reggersi in piedi. Ci siamo scelte appena ci siamo viste.



Ho raggiunto la scala per salire sul dorso del cammello non appena uno degli uomini che si occupavano di accompagnare il tour mi ha fatto cenno di avvicinarmi. A differenza della maggior parte degli asiatici, generalmente di corporatura minuta e carnagione chiara ( soprattutto le ragazze ci tengono molto a mantenere un colore di incarnato che sia il più bianco possibile), qui tutte le guide erano abbronzatissime. Mi sono chiesta se ciò fosse dovuto alle tante ore di lavoro sotto il sole. Non so, ma era difficile dire con certezza se le nostre guide fossero giapponesi, a una prima occhiata sembravano tutte straniere.


La mia salita sul cammello è stata tutta da ridere. La guida aveva fatto sostare la mia amica dal fiocco rosa un po' troppo distante dalla scala, per cui non riuscivo ad arrivarci. Nonostante la cosa fosse evidente, la guida non ha minimamente accennato a darmi una mano. Alla fine ho fatto una specie di mezza spaccata in aria che mi è quasi costata la vita ma sono riuscita a salire.



Il tour durava appena una decina di minuti, il tempo di fare un giro tra le dune e tornare. Per fortuna devo aggiungere. Nonostante l'emozione di star cavalcando un cammello, il percorso è stato davvero scomodo. Sentivi praticamente ogni passo, tra le gobbe che salivano e scendevano. Avrei voluto fare qualche foto per immortalare le dune da una diversa prospettiva, ma dopo la mia performance aerea  e il continuo su e giù, avevo troppa paura di cadere di sotto se avessi lasciato la presa per reggere la macchina fotografica.
Terminato il giro sul cammello abbiamo deciso che era il momento di attraversare le dune a piedi fino a raggiungere il mare.




La prima parte del percorso è stata più semplice. Lo strato di sabbia era minore e più umido, ma man mano che avanzavamo lungo la duna, il percorso diventava sempre più difficile. La quantità di sabbia diventava sempre maggiore e il tragitto già in salita era reso più difficoltoso dal continuo sprofondare dei piedi nel terreno. Dopo circa mezz'ora siamo arrivate in cima. La vista sul mare, di un azzurro intenso e appena scalpitante sulla riva, era stupenda. Ancora di più lo era la vista sul resto del deserto che come una linea netta segnava l'orizzonte.






Piccoli puntini neri, altri turisti come noi, interrompevano qua e là la grande distesa dorata illuminata dai raggi del sole. Il vento soffiava forte ma era assolutamente piacevole, le giornate di sole invernali sono da sempre le mie preferite.





Rientrate in stazione abbiamo ripreso i nostri bagagli e visto avevamo ancora del tempo prima della partenza, siamo andate a prenotare i posti a sedere sul treno che passando da Himeji ci avrebbe condotte a Hiroshima.
All'ufficio un ragazzo che parlava pochissimo inglese ci ha dato l'amara notizia che dovevamo pagare un supplemento perchè una parte della tratta Tottori-Himeji non era coperta dal JPR. Com'era possibile? All'andata avevamo fatto quella stessa tratta e nessuno ci aveva chiesto di pagare niente, ma era anche vero che non avevamo mai incrociato il controllore. Vuoi vedere che i 4 cambi di treno erano serviti a farci risparmiare dei soldi?

 © Japan Hoppers
Abbiamo chiesto se fosse possibile percorrere una via diversa per non pagare il supplemento ma ogni soluzione propostaci dall'impiegata subentrata (il poverino si stava disperando perchè non capiva niente di quello che gli chiedevamo) prevedeva di tornare ad Osaka e arrivare ad Hiroshima intorno a mezzanotte. Abbiamo deciso che era meglio pagare e arrivare ad un orario decente.
Dopo una piccola pausa in una caffetteria della stazione mangiando due buonissimi parfait, uno al sesamo e l'altro altè verde, abbiamo infine preso il Limited Express Super Hakuto destinazione Himeji. Sono stata sollevata di essere già a conoscenza del supplemento da pagare, perchè il controllore che è arrivato non parlava davvero una sola parola di inglese e se non avessi già saputo cosa volesse dire dubito che sarei mai riuscita a capirlo.



Da Himeji abbiamo preso lo shinkansen. Siamo arrivate ad Hiroshima alle 20.00 circa, accolte da nuvoloni neri e pioggia scrosciante. Per fortuna il nostro ostello si trovava vicino la stazione, anche se questo non ci ha impedito di arrivare comunque fradice.
Alla reception c'era una ragazza carinissima. Non appena siamo entrate ha iniziato a bombardarci di informazioni su cose che potevamo fare e vedere a Hiroshima e ci ha persino informato degli orari di bassa e alta marea nel caso volessimo andare a Miyajima. In una situazione normale le sarei stata infinitamente grata. Invece riuscivo solo a pensare che stavo grondando acqua e volevo andare in camera a cambiarmi, e lei continuava a trattenermi.

 © Webjet Hotel
La camera dell'ostello era in stile tradizionale. Avevamo a disposizione dei futon e delle lenzuola. Ci ho messo un po' a capire come fare il letto visto che fino a quel momento i futon ci erano sempre stati preparati da qualcun altro e io non mi ero presa la briga di osservare con attenzione. I fogli con le istruzioni lasciatici in camera sono però venuti in nostro soccorso.

  
 

Quando infine abbiamo terminato di preparare i letti e ci siamo sdraiate è stato subito chiaro che quella non sarebbe stata una notte semplice.  La frase sentita milioni di volte e che ci sembrava solo un'esagerazione da turisti incontentabili rieccheggiava adesso nelle nostre menti come una verità assoluta: "Dormire in un futon è come dormire a terra". Era vero. Il materassino del futon del nostro ostello era talmente sottile che era come non ci fosse affatto.
Che potevamo farci ormai? Sarebbe stata un'altra esperienza da raccontare.


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