Giorno 28 parte 1: Miyajima, in attesa della bassa marea



La pioggia scrosciante che la sera prima ci aveva inzuppato al nostro arrivo ad Hiroshima, non aveva smesso di scendere neppure l'indomani mattina.
Nonostante le nostre speranze, il nostro unico giorno disponibile per visitare l'isola di Miyajima si preannunciava umido e grigio. 
Ci siamo tirate su dai futon e dopo una veloce colazione con brioches e latte macchiato del conbini ci siamo preparate per affrontare quella ventottesima giornata di viaggio.


Patrimonio UNESCO, Miyajima è stata considerata un'isola sacra a partire dal 593 d.C., anno della costruzione del suo più famoso santuario, Itsukushima. Da allora si dice che sull'isola convivano uomini e dei.
L'obiettivo della giornata era arrivare a Miyajima con l'alta marea e restarci fino a che il livello dell'acqua non fosse calato abbastanza da raggiungere a piedi il famoso torii del santuario Itsukushima.


Siamo partite dalla stazione di Hiroshima prendendo la JR Sanyo line fino a Miyajimaguchi e poi il traghetto fino a Miyajima ( tutto compreso nel JRP). Si arriva in 50 minuti circa.
Il torii rosso del santuario Itsukushima si scorgeva già dal traghetto, immerso nell'acqua, si stagliava sullo sfondo delle montagne verdi e di un cielo totalmente coperto da nuvoloni grigi. Per un momento mi sono rivista sul battello diretta all'Hakone-jinja (vedi qui). Ci attendeva una giornata di pioggia e nebbia altrettanto inclemente?


Anche una volta toccata terra la pioggia continuava a scendere fitta. Ci siamo incamminate verso il santuario Itsukushima accompagnate lungo il percorso da qualche cervo. Si, anche a Miyajima i cervi sono considerati sacri e quindi liberi di girare indisturbati sull'isola, ma a mio avviso sono in numero molto inferiore rispetto a Nara.
 


Ci siamo avvicinate alla riva per osservare l'Otorii ancora irraggiungibile. Di fronte ad esso il santuario Itsukushima sembrava quasi galleggiare sulla superficie dell'acqua. Costruito con una struttura a palafitta, si reggeva su una piattaforma sostenuta da tronchi, appena visibili al momento del nostro arrivo, coperti com'erano dalle onde del mare.


Il santuario attuale risale al 1168 ed è stato costruito secondo lo stile shinden-zukuri. Il padiglione principale era collegato agli altri attraverso corridoi sospesi sull'acqua. Tutto il complesso era  caratterizzato da toni vivaci di colore bianco e vermiglio.



A causa della pioggia, il pontile e la maggior parte dei corridoi del santuario erano bagnati.  La sensazione era quella di star camminando sull'acqua. Non è stato piacevole. Sentivo l'umidità penetrarmi i vestiti come se fossi stata immersa in una vasca di pesci rossi.




Nonostante questo e il grigiore del cielo, il santuario Itsukushima non aveva perso un briciolo del suo fascino. 
Quando siamo arrivate, nel padiglione principale era in corso una cerimonia. Un sacerdote in abiti bianchi svolgeva la funzione nella sala più interna, mentre alcuni fedeli (genitori e figli suppongo) assistevano chinati in preghiera dalla sala più esterna.


Da uno dei corridoi principali si scorgeva la pagoda a cinque piani da una parte, e dall'altra, oltre le acque del mare, l'Otorii ancora circondato dalle onde.
Pur riflettendo il grigio del cielo, mischiato al verde delle alghe, la superficie dell'acqua risplendeva, come coperta di pagliuzze dorate.



Abbiamo percorso i diversi corridoi del santuario fino a raggiungere altri padiglioni. Un corridoio con tanti ema ricolmi di desideri collegava la sala dedicata a Daikoku, qui divinità che si occupa di combinare incontri propizi, a quella dedicata a Tenjin, dio della cultura e dell'erudizione.
Un altro lungo corridoio, preposto per raccogliere i mikuji sfortunati, portava al ponte Soribashi e al palco di teatro Noh.




Oltre a questo palco, il santuario presentava altri tre palchi sul pontile scoperto. Essi sono utilizzati tutt'ora per il Bugaku, una danza tradizionale giapponese. Il palco centrale ospita i ballerini, mentre quelli laterali i musicisti.


Man mano che continuavamo la visita le acque del mare proseguivano la loro lenta ritirata. Quando abbiamo lasciato il santuario Itsukushima, attorno a uno dei suoi padiglioni più interni, l'acqua si era quasi del tutto prosciugata, lasciando solo fanghiglia e alghe verdi.


Abbiamo proseguito verso l'entroterra fino a raggiungere quello che oggi posso dire essere stato uno dei miei templi preferiti, il Daisho-in.
Lungo tutta la via per raggiungere il tempio siamo state circondate da meravigliosi colori autunnali, ma l'apice della giornata è stato sicuramente quando abbiamo attraversato il fiume attraverso un piccolo ponte rosso e abbiamo scorto all'interno del letto del corso d'acqua un tenerissimo cervo intento ad abbeverarsi e a mangiare erba e muschio dagli argini.



Il Daisho-in risultava essere un luogo allegro e carico di magia già dal suo ingresso, circondato da aiuole verdi dalle quali facevano capolino piccoli Jizo sorridenti.
Il suo portale monumentale presentava due enormi o-waraji e altrettanto imponenti statue di Nio. Una lunga scalinata conduceva in cima alla montagna in cui si apriva il piazzale principale del tempio.





La scalinata stessa era già un'attrazione. Lungo il passamano erano stati collocati 600 sutra che si dice portino fortuna a chi li tocca, mentre ai lati delle scale abbiamo incrociato lungo la salita più di una buffa statuetta.



Anpanman salutava accanto ad un ponticello
Un Kappa se ne stava seduto pensieroso a braccia e gambe incrociate
A circa metà scalinata la nostra attenzione è stata catturata da una moltitudine di figurine con coloratissimi cappellini che portavano alla scoperta di una scalinata parallela, meno squadrata e definita. Era come l'ingresso a un luogo incantato, abitato da milioni di allegri folletti, ora intenti ad accogliere il visitatore, mostrando la via al loro mondo, per poi portarlo al cospetto del loro re, un essere superiore con 6 braccia e l'aria assolutamente serafica.





Il folto gruppo di personaggi terminava con degli allegri buddini raffigurati in compagnia degli animali dello zoodiaco cinese, intervallati di tanto in tanto da statuine raffiguranti le 7 divinità della fortuna. Ogni statuina era coperta di monete lasciate in dono dai fedeli del tempio.




Ma quanto erano belli! Tutte quelle pose, tutti quei sorrisi, tutti quei cappellini e sciarpine. E come se tutto ciò non bastasse a rendere quel luogo vivace e colorato, la natura aggiungeva il suo tocco con le diverse gradazione delle foglie degli alberi che dal verde passavano poi al giallo e al rosso. Era una tale meraviglia che davvero non trovo parole per descrivere ciò che i miei occhi hanno visto. E poi c'era una pace, non un altro turista, eravamo le sole fortunate ad essere state invitate dai Rakan in quel posto fuori dal tempo.



Mi sentivo felice, sentivo di aver scoperto un luogo speciale. Chissà che espressione c'era sulla mia faccia in quel momento? Poi all'improvviso, tra i rami degli alberi, l'ho visto. Un altro volto. Un altro eletto, intento a cogliere a braccia aperte, il suo momento di personale felicità. Avevo anch'io quell'espressione? Ero solo un'intrusa che partecipava per caso dell'emozione di qualcun altro, eppure proprio per questo non ho potuto fare a meno di immortalarlo. Se la felicità si può davvero cogliere in uno scatto, la mia idea di felicità è tutta racchiusa in questa foto.


Una scalinata semi nascosta ci ha permesso di raggiungere la campana del tempio e poi nuovamente la scalinata principale con i sutra.
Fatti gli ultimi gradini abbiamo raggiunto il piazzale principale su cui si affacciavano diversi edifici sacri.




Nonostante la pioggia incessante devo dire di aver amato ogni angolo di questo tempio costellato di figurine allegre e minute. Ogni padiglione, piccolo o grande che fosse, presentava qualcosa di speciale.
L'entrata del Chokugando era sorvegliata da diverse figure di divinità guardiane e all'interno ospitava ben 1001 rappresentazioni di Fudo Myo-o, un'incarnazione del Buddha Cosmico. Come se ciò non fosse abbastanza, una nicchia, su una delle pareti esterne laterali, accoglieva anche la raffigurazione di Buddha circondato dai discepoli.





Un altra ripida scalinata sorvegliata da un Tengu, presentava delle ruote Mani lungo tutto il percorso fino alla cima dove si trovava il Maniden, la principale sala della preghiera.





Un'altra fila di statuine raffigurate anch'esse con i segni dello zoodiaco cinese conduceva al Daishi-do, il padiglione in cui si venera Kukai, fondatore del buddismo shingon.





Il padiglione era ciorcondato su tre lati da minuscole statuine raffiguranti Buddha, dono dei fedeli, e presentava alle spalle l'Ichigan Daishi, che con la sua maglietta della Nike e il suo amico Winnie the Pooh (già pronto per l'arrivo del Natale), era in grado di concedere un solo desiderio a persona.





Al di sotto del padiglione la grotta Henjokutsu, dimora di alcune statue rappresentanti i templi facenti parte del pellegrinaggio dello Shikoku, accoglieva il visitatore con pareti decorate con fiori di loto e un soffitto coperto di lanterne.



Si arrivava infine al padiglione Hakkaku Manpuku, circondato da un grazioso lago e sede delle 7 divinità della fortuna.





Il Daisho-in è una medicina per il cuore, un luogo che rende felici già appena varcata la soglia. L'ho amato davvero tanto, neppure la brutta giornata e la pioggia fitta sono riuscite a farmelo apprezzare meno. Consiglio assolutamente la visita a chiunque decida di recarsi a Miyajima. Non fermatevi solo al santuario Itsukushima, il Daisho-in vale davvero la pena.
Lasciandoci il monte Misen alle spalle abbiamo ripreso la via principale di Miyajima fino a raggiungere la pagoda a cinque piani che fino ad allora avevamo visto solo a distanza.


La via centrale di Miyajima presentava una moltitudine di negozi e ristoranti.
Ci siamo soffermate a guardare la preparazione dei momiji manju, i dolcetti tipici dell'isola, dalla forma di foglie d'acero e dagli svariati ripieni. Ne abbiamo acquistato una confezione assortita con cinque diversi gusti da portare a casa.



Lungo la via si trovava anche un enorme paletta messa in esposizione all'interno di un prefabbricato bianco. Si trattava dell'oshakushi, il mestolo per il riso in legno più grande del mondo. Ricavato da un albero di zelkova di 270 anni, è lungo 7,7 metri e pesa 2,5 tonnellate. A Miyajima tutti i negozi vendevano oshakushi in formato ridotto come souvenir. Abbiamo valutato se comprarne uno ma alla fine abbiamo desistito.


Tra i tanti negozi e ristoranti ne abbiamo trovato uno che serviva le specialità dell'isola, le ostriche e l'anguilla e abbiamo ordinato due set da dividerci.
A differenza di quella mangiata a Kyoto stavolta la porzione d'anguilla servitaci era generosa e copriva completamente il riso, purtroppo non era altrettanto abbondantemente caramellata. Se questo, da un certo punto di vista, poteva essere un aspetto positivo, in quanto in questo modo la caramellatura non andava a coprire il sapore del pesce, devo però ammettere di aver preferito l'anguilla mangiata a Kyoto, più piccola ma decisamente più saporita.


Il set con le ostriche invece era davvero molto buono, ma credo di averlo apprezzato soprattutto perchè il sapore delle ostriche, che solitamente non gradisco molto, era stato completamente coperto dalla panatura.


Terminato il pasto ci siamo nuovamente dirette verso il santuario Itsukushima. Rispetto alla mattina l'acqua del mare si era ritirata rendendo possibile il raggiungimento dell'Otorii a piedi.
I gradini che dalla strada portavano alla spiaggia, la mattina coperti per metà dall'acqua, erano adesso completamente liberi e soggetti solo all'andirivieni dei turisti.

Alta marea
Bassa marea
Il tratto di mare che separava l'Otorii dal santuario Itsukushima era sparito, e l'edificio sacro che sembrava galleggiare l'ultima volta che lo avevamo visto, risultava adesso ancorato a terra attraverso dei pilastrini in legno. Al posto delle onde del mare aveva fatto la sua comparsa una spiaggia acquitrinosa e ricca di alghe.





Mentre camminavamo verso il torii rosso evitando le pozzanghere, abbiamo avvistato una monetina a terra, poi un'altra e un'altra ancora. Tutta la spiaggia era ricoperta di monete, per lo più 5 yen, che riflettevano la luce del sole, il quale aveva appena cominciato a far capolino da dietro le nubi, annunciando la fine della pioggia.
Non erano semplicemente monete, ma desideri, migliaia e migliaia di desideri sparsi per tutto il litorale. A pensarci bene, ne avevamo già percepito la presenza durante la visita del santuario Itsukushima. Ecco spiegato la presenza di tutte quelle pagliuzze dorate nell'acqua!


Come tanti altri turisti, abbiamo raggiunto anche noi il grande torii in legno, che sembrava essere stato costruito a partire da quattro grandi tronchi, poi dipinti di rosso. Solo uno dei tronchi della base sembrava essere stato ridipinto da poco, gli altri portavano con sè la consunzione dell'essere continuamente soggetti alle maree e all'attacco di alghe e muschi.




Le fessure che man mano si erano formate sui tronchi avevano finito con il divenire custodi di altri desideri lasciati dai turisti di passaggio.


Fatte anche noi le foto di rito, ci siamo dirette nuovamente all'attracco dei traghetti, per ritornare ad Hiroshima a cui volevamo dedicare il resto della giornata.
Scese dal traghetto, mentre ci dirigevamo alla stazione di Miyajimaguchi a prendere il treno, siamo state fermate da un ragazzo incaricato di svolgere un sondaggio. Eravamo un po' di fretta, il treno per Hiroshima non ci avrebbe atteso se fossimo arrivate in ritardo, eppure il ragazzo aveva l'aria implorante di chi non era riuscito ad intervistare ancora nessuno, per cui ci è sembrato scortese rifiutare. Seppur frettolosamente abbiamo risposto a tutte le sue domande senza aspettarci niente in cambio, invece appena finita l'intervista il ragazzo ci ha riempito di regali, un sacchetto enorme pieno di varie brochure e souvenir tra cui anche l'oshakushi che eravamo indecise se comprare.
La nostra piccola buona azione quotidiana era stata ricompensata con tanti doni e un treno, che nonostante tutto, siamo comunque riuscite a prendere.

Per saperne di più sui luoghi visitati: Daisho-in

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