Giorno 6, parte 1: Tokyo, il quartiere dei templi di Asakusa




Tutte le fiabe iniziano nello stesso modo. Con il consueto "C’era una volta". Anche i miei racconti di Asakusa iniziano tutti nello stesso modo. Di solito qualcuno mi domanda: “Cosa ti ha colpito di più di Asakusa?”  e a me viene quasi naturale rispondere: “I templi, le scimmie e i ladri”. Allora mi guardano con faccia sorpresa ed ecco che la storia ha inizio.
Asakusa era nel periodo Edo una zona di divertimenti, ricca di teatri e locali, ma oggi è famosa principalmente per essere uno dei quartieri di Tokyo che ha mantenuto un aspetto più tradizionale, e soprattutto per la presenza del tempio Sensoji.
Asakusa era il quartiere più vicino al nostro hotel per cui siamo arrivate velocemente, con una sola fermata, prendendo la Toei Asakusa line.
Il primo impatto, appena uscite dalla metro, è stato con una grossa strada asfaltata, aldilà della quale troneggiava un enorme portale affiancato da un piccolo koban della polizia. Quel  portale era il Kaminarimon (portale del tuono), principale via d’accesso al tempio Sensoji.  La prima sensazione è stata un po’ di delusione, non so perché mi aspettassi una zona tutta verde, ma quel portale piazzato lì, in una strada assolutamente moderna sembrava stonare non poco, inoltre la marea di persone che si riusciva a vedere già dall’altro lato della strada ha dimezzato in un colpo le mie energie. Odio la folla, gli spazi troppo piccoli con troppe persone, ed Asakusa era affollata. Ma d’altronde che pretendevo decidendo di visitare il Sensoji di sabato?


In realtà la sensazione di fastidio è iniziata a scemare quasi subito dopo aver attraversato la strada. C’era tanta gente è vero, ma il luogo non era angusto, inoltre nessuno spingeva per guardare o scattarsi foto, il che ha contribuito molto a calmarmi.
Meta quasi obbligatoria per chiunque visiti il Giappone, il Sensoji è un tempio buddista dedicato a Kannon, la dea della compassione.
Abbiamo attraversato il Kaminarimon passando sotto la grossa lanterna centrale (la più grande del Giappone a quanto pare), scoprendo un fantastico intaglio in legno con le forme di un drago. È incredibile come l’architettura sacra giapponese riesca a sorprenderti sempre. Ad un occhio disattento tutti i templi e i santuari in Giappone, a parte rare eccezioni, si somigliano. Il rosso è il colore predominante, le architetture sono improntate alla semplicità, raramente si trovano eccessi di decorazione o pomposità, eppure tra un luogo e l’altro si scoprono sempre dei piccoli dettagli che rendono quel posto unico. Non sono mai evidenti, bisogna fare attenzione e cercarli con cura, ma quando li noti, non puoi fare a meno di stupirti e rimanere incantato.



Superato il portale, ci siamo trovate immesse nella Nakamise dori, la via lunga 250 m che conduce al secondo portale e quindi al tempio, costellata di bancarelle, risalenti al periodo Edo, vendenti qualunque cosa, da cibo a souvenir. Non ci siamo soffermate più di tanto sulle bancarelle, vista la mole di persone presenti avremmo dovuto sgomitare non poco per vedere qualcosa, per cui abbiamo preferito dare solo una rapida occhiata e proseguire.


Poco prima di arrivare, la Nakamise incrocia la Denboin-dori, un’altra via ricca di negozietti di souvenir, accessori tradizionali e cibo, che prende il nome dal tempio omonimo, purtroppo chiuso, ma che ci ha permesso di immortalare un risciò davanti al suo ingresso.



Da questa via è possibile avere una bella vista della Tokyo Sky Tree. Ci siamo ritrovate a guardarla in compagnia di Akaboshi Juzaburo, uno dei famosi 5 ladri dell’opera Kabuki di Kawatake Mokuami “Shiranami Gonin Otoko”, intralciate solo dalla presenza dei cavi elettrici.


Da lì è partita la caccia ai ladri che per poco ci ha fatto dimenticare il reale motivo della visita. Purtroppo non siamo riuscite a trovarli tutti e 5, ma almeno siamo riuscite a immortalare i più popolari, Benten Kozo Kikunosuke e il leader del gruppo, Nippon Daemon, messo lì a mo’ di transenna per impedire il passaggio delle macchine.



Abbiamo scoperto anche una new entry, la statua di Nezumi Kozo (il ragazzo topo), una sorta di Robin Hood giapponese che rubava ai ricchi per dare ai poveri.


Ripresa la Nakamise dori, abbiamo percorso un tratto della via in cui, su un lato, al posto delle bancarelle, erano disposte alcune bacheche con raffigurate scene della storia del tempio. Tra di esse c’era anche una raffigurazione delle 7 divinità della fortuna.



Siamo infine arrivate all’Houzoumon (portale della sala dei tesori), caratterizzato da una grossa lanterna rossa centrale e due nere più piccole ai lati, due statue rappresentanti Nio, il guardiano di Buddha,  e sul lato opposto due o-waraji, i sandali giganti dei pellegrini.


 


Prima di attraversare il portale ci siamo un po’ guardate intorno alla ricerca di un negozio di melonpan per fare uno spuntino. Avevo visto molti video su Youtube dove pubblicizzavano un negozio vicino l’Houzoumon ma del negozio ovviamente nessuna traccia. Neanche a dirlo sono rimasta con voglia di melonpan tutto il giorno. Ho scoperto solo in seguito che quel negozio aveva più sedi ad Asakusa e quella che conoscevo io era stata chiusa.
In ogni caso la ricerca del negozio ci ha portato anche ad esplorare la zona vicino al portale. Alla nostra destra si apriva un area verde fatta di alberi e cespugli perfettamente curati, all’interno della quale erano incastonate qua e là statue di Buddha e piccoli altari.



Alla nostra sinistra, il Sanpocoshindo (Santuario del Tesoro di Mie) dove abbiamo incontrato le nostre compagne di tour, due donne, madre e figlia suppongo, con indosso dei kimono, che ci siamo viste comparire ovunque andassimo finchè siamo rimaste ad Asakusa.


Attraversato il portale, il Sensoji è comparso alla vista circondato da padiglioni nei quali la gente faceva la fila per acquistare amuleti, ricevere il timbro del tempio o predizioni. La prima cosa che ho notato è stato il fortissimo odore d’incenso. Dal braciere (jokoro) posto al centro dell’area difatti, proveniva un’enorme nuvola di fumo che si sollevava fino in cielo.



Abbiamo avvistato su un lato un o-mikuji sorprendentemente privo di fila e ci siamo precipitate per avere la nostra predizione.


In pratica funziona così: bisogna inserire un’offerta da 100 yen, scuotere il cilindro metallico e metterlo a testa in giù in modo da estrarre un bastoncino di legno con su scritto un numero in kanji, che corrisponderà al numero del cassettino da aprire. Nel mio caso è uscito il numero 14. Se non conoscete i kanji dei numeri potete comunque confrontare gli ideogrammi del bastoncino con quelli dei cassetti ma io consiglio a chiunque decide di andare in Giappone di imparare almeno i kanji dei numeri che sono davvero semplici e potrebbero tornarvi utili in più occasioni.



A questo punto estraete il primo foglio del cassetto e leggete la vostra predizione. Se la predizione è positiva si può portarla con sé, se no bisogna legarla in una zona preposta del tempio per scacciare la cattiva sorte.


Nel mio caso diciamo che la predizione non era cattiva ma nemmeno così buona e con il senno di poi devo dire che alcune cose si sono incredibilmente avverate (almeno quelle brutte), per cui, sperando che le disgrazie siano finite, ora sono in attesa che questa grande fortuna futura mi travolga come un fiume in piena. Forse a pensarci bene avrei fatto meglio a legarlo subito al tempio piuttosto che portarmelo a casa.


Ci siamo dirette verso il padiglione principale per andare a vedere com’è all’interno un importante tempio buddista (visto che fino a qual momento avevamo visto per lo più santuari) e subito la nostra attenzione è stata colta dalla decorazione del soffitto.

Ma quanto sono belli questi dettagli in un mare di rosso e austerità?
All’interno si trovava un’enorme bacino per le offerte, e dietro una gigantesca grata l’altare vero e proprio con al centro, quella che successivamente avremmo imparato essere, la lettera A in sanscrito, simbolo di Dainichi Nyorai, il Buddha cosmico, che rappresenta la verità e il fondamento dell’universo.



Una volta fuori, abbiamo continuato il giro dell’area sacra, tra rosso dei templi, verde degli alberi, grigio della pietra, i nostri passi ci hanno portato a nuove statue di Buddha, laghetti di carpe con annessi ponti in pietra e uomini di mezza età stanchi e sonnecchiosi, fino ad arrivare prima al tempio Yokodo, e poi all’Awashimado, un tempietto con pagoda.


Questo ponte risale al 1618 e fu costruito per il santuario Asakusa Toshogu
Un assonnato visitatore con alle spalle il Bentendo, il luogo dedicato alla dea Benzaiten, unica divinità femminile tra le 7 della fortuna, protettrice di danza e musica

L’Hokyoin’to eretto nel 1761

Il tempio Yokodo dedicato a Kannon e Daikoku

L’Awashimado dove sono venerati Amida-nyorai e Awashima-myojin, quest’ultimo divinità protettrice delle donne
Questo ci ha portato alla mente che non avevamo ancora visto la pagoda a 5 piani del complesso del Sensoji. Ci siamo messe a cercarla come matte, non capendo dove potesse essere andata a nascondersi una pagoda di tali dimensioni visto non riuscivamo a trovarla da nessuna parte, fino all’amara conclusione che doveva per forza trovarsi dentro quella brutta impalcatura alle spalle dell’Heiwa no tokei, l’orologio della pace.


Siamo quindi tornate indietro verso il tempio Yokodo per assicurarci di non esserci perse altri tempietti nascosti. Abbiamo così scoperto lo Hashimoto Yakushido, un tempietto eretto nel 1649 dedicato al dio buddista della medicina Yakushi Nyorai.


Appurato che non ci fossero altre chicche in zona, ci siamo dirette verso il santuario Asakusa, passando alle spalle del padiglione principale del tempio Sensoji. Ci aspettavamo di trovare altre aree verdi, invece ci siamo ritrovate in un’enorme parcheggio che non c’entrava niente con l’atmosfera del luogo.
Al parcheggio però è avvenuto l’incontro con uno dei nostri cari amici pelosi. Come se ci fosse una sfilata di moto d’epoca, se ne stavano parcheggiate in fila una serie di sidecar (che a me fanno sempre pensare alla scena di Napoleone e Lafayette degli Aristogatti). Tra di esse ce n’era una più moderna sulla quale stava appollaiata una scimmia con una magliettina gialla che evidentemente doveva essersi ristretta dopo l’ultimo lavaggio.

Vi aspettavate una scimmia vera? Aspettate che arriviamo anche a quello.
Attraversato il parcheggio siamo infine arrivate al santuario Asakusa, e da buona tradizione che va sempre rispettata, anche in questo caso siamo riuscite ad entrare dall’uscita, perdendoci di nuovo l’effetto sorpresa del padiglione che compare da dietro il torii e di conseguenza anche tutto il rituale che ci aveva insegnato Yumi.


Proprio qui, dentro al santuario, perché le cose assurde in Giappone non finiscono mai e compaiono sempre dietro l’angolo quando meno te l’aspetti, ecco che un giovane uomo, vestito per metà da ninja e per metà da corridore della domenica, improvvisandosi novello Remì, si dilettava nel far ballare una scimmietta che per l’occasione era vestita con una blusa verde e dei pantaloncini.

Vi viene in mente una scena più improbabile di questa?
A seguire ci siamo dirette verso il fiume Sumida per andare a vedere più da vicino la Tokyo Sky Tree. Dal fiume era anche possibile vedere il birrificio Asahi con la sua classica forma di boccale ricolmo di birra e l’edificio accanto, più basso, con la caratteristica forma allungata sul tetto.


Abbiamo anche assistito al passaggio dell’Hotaluna, il traghetto che il giorno prima avevamo visto attraccato al molo di Odaiba.


Prima di proseguire abbiamo fatto una sosta per pranzare, rimpinzandoci di riso al curry, in modo da poter cancellare un altro elemento dalla nostra lista di piatti giapponesi da provare.



Per la seconda parte: Ryogoku, il quartiere del sumo

Se vi va di saperne di più sui luoghi visitati vi lascio qui i link agli approfondimenti:

Se vi siete persi le precedenti avventure in Giappone:

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