Giorno 6, parte 2: Tokyo, il quartiere del sumo di Ryogoku

Se non avete ancora letto la prima parte, cliccate su questo link 

Finito il pranzo, abbiamo attraversato il fiume in direzione della Sky Tree, tentando di arrivare il più vicino possibile prima di dover cambiare direzione per dirigerci a piedi verso la meta successiva, Ryogoku, il quartiere del sumo.
Per arrivare ci abbiamo messo più del previsto ma abbiamo camminato in modo molto rilassato godendoci il quartiere e facendo delle piccole soste durante il percorso, ad esempio per andare a prelevare al conbini. Non che ci fosse niente di particolarmente rilevante da vedere ma è stato piacevole andare in giro come persone del posto, in una zona tranquilla e assolutamente pulita, con una bella giornata di sole. Durante il tragitto mia sorella si è scattata tipo mille selfie con il nulla, tanto era entrata in modalità “mi devo fotografare assieme a qualunque cosa”. Ve ne posto solo uno tanto per darvi un’idea della zona.

So già che mi odierà per questa foto.
Dopo tanto camminare siamo infine arrivate al parco Yokoamicho all’interno del quale si trova il Museo sul terremoto del Kanto del 1923.
Il primo settembre 1923 alle ore 11.58 difatti, la regione del Kanto è stata colpita da un terremoto di magnitudo 7.9 che ha provocato incendi, frane e tsunami. Le fiamme sono state inoltre alimentate dai tifoni stagionali che hanno trasformato la regione in un vero e proprio inferno di fuoco, portando alla morte di 200.000 persone circa, impossibilitate a scappare a causa del crollo di buona parte delle strade. Ancora oggi all’esterno del museo sono esposte delle attrezzature che sono state danneggiate dal fuoco.


Quando abbiamo visitato il parco purtroppo non sapevo molto di questa storia. Avevo deciso di visitare il quartiere di Ryogoku principalmente per andare a vedere i lottatori di sumo, ma una volta scoperto che in Novembre non ne avrei trovati molti in giro, visto è il mese in cui si tengono i tornei a Fukuoka, mi ero messa a girovagare su Google Maps nei dintorni e avevo scoperto questo parco per caso, trovandolo adorabile e decidendo per questo di visitarlo.
Effettivamente questo posto mi è piaciuto molto. Pulito, curato e per niente affollato. Si avvertiva una calma assoluta.
Oltre al museo, all’interno del parco è presente un graziosissimo giardino giapponese,  e un tempio con pagoda costruito nel 1930 in memoria delle vittime del terremoto.





Qua e là nel parco erano presenti altri memoriali tra cui uno dedicato alle vittime dei bombardamenti aerei della Seconda Guerra Mondiale. Davanti ad esso un gruppo di studenti con divise scolastiche era seduto a chiacchierare.



Durante tutto il tempo che siamo rimaste lì abbiamo incrociato moltissimi studenti delle superiori insieme ai genitori, scoprendo poi che c’era una scuola superiore che si affacciava proprio sul parco ed evidentemente quello doveva essere il giorno del ricevimento genitori insegnanti.


Abbiamo proseguito a piedi fino ad arrivare ad un’altra perla che ho scoperto sempre grazie a Google Maps, il giardino Kyu-Yasuda Teien.
Si tratta di un piccolo giardino in stile giapponese costruito intorno ad un laghetto. Mi sono letteralmente innamorata di questo luogo. Era incantevole.
Abbiamo percorso tutto il tragitto intorno al lago. Gli alberi, le siepi e gli arbusti perfettamente curati si riflettevano sulla superficie dell’acqua colorandola di riflessi verdi e rossi.


Una bambina si sporgeva a guardarli, con alle spalle il padre pronto a immortalarla in una foto, mentre su alcune rocce, al centro del lago, delle tartarughe godevano dei raggi del sole.


Su alcune panchette in legno altri signori stavano seduti a chiacchierare.


Le carpe boccheggiavano al nostro passaggio in cerca di cibo. L’acqua del lago era talmente trasparente da permettere di vedere al di sotto della superficie, mentre lanterne di pietra spuntavano qua e là tra la vegetazione.



Un ponticello rosso ci  ha sorpreso facendosi largo tra i rami degli alberi, mentre un gruppo di anatre attraversavano il lago in una fila perfetta.



Il ponte ci ha condotto ad un piccolissimo santuario immerso tra la vegetazione.


Giunti infine al lato opposto del giardino, abbiamo scorto in lontananza persino un piccolo airone posto su una zampa sola, al centro del lago, con la Tokyo Sky Tree a troneggiare sullo sfondo.


Uscite dal giardino ci siamo ritrovate nel cuore del quartiere Ryogoku. C’è sembrato d’obbligo andare alla ricerca di qualunque cosa attinente al sumo riuscissimo a trovare. Per prima cosa ci siamo dirette verso il Kokugikan, lo stadio di sumo. Pur sapendo che quel giorno era chiuso, speravamo comunque di trovare qualche poster riguardante i tornei o magari delle decorazioni esterne correlate.

Il tetto del Kokugikan
Di manifesti nessuna traccia, ma abbiamo trovato qualcosa di meglio.  Facendo il giro dello stadio ad un certo punto abbiamo notato alcune ragazze giapponesi che, con fare sospetto, scattavano foto nascoste dietro alcune siepi, poste lungo la recinzione che circondava la palestra. Incuriosite, abbiamo sbirciato anche noi dentro. Sul retro del Kokugikan alcuni lottatori si stavano allenando. Non credo si trattasse di professionisti, sembravano più ragazzotti delle superiori. Inutile dire che ci siamo unite al gruppo di stalker scattando tutte le foto che potevamo.



Ci siamo dirette poi verso la stazione e qui abbiamo finalmente trovato vari stand e bancarelle piene di souvenir tutti a tema sumo. Sono stata tentatissima di comprare qualcosa ma alla fine ho desistito.


Superata la stazione ci siamo ritrovate in una via piena di ristoranti di chanko nabe, il piatto di cui è composta  principalmente la dieta dei lottatori di sumo. Si tratta sostanzialmente di un nabe, il piatto che abbiamo mangiato all’izakaya con Yumi e Mikou, ma molto più ricco e proteico e con più ingredienti. Molti ex lottatori di sumo in pensione hanno aperto dei ristoranti di chanko nabe in questa zona della città, creando nuove varianti del piatto.


Abbiamo scoperto anche una sorta di Walk of fame del sumo. Lungo il marciapiede difatti c’erano alcuni piedistalli con sopra statue rappresentanti lottatori di sumo, e attorno al piedistallo si trovavano le impronte delle mani di alcuni lottatori famosi con accanto il loro nome.




                                
Abbastanza soddisfatte ma stanche, abbiamo proseguito a piedi per tornare in hotel decidendo di rinunciare ad andare a vedere l’Eko-in, il tempio dei lottatori di sumo all’interno del quale si tenevano i tornei, perché ancora troppo lontano, almeno da quello che ci diceva Google Maps.
Sulla via del ritorno la nostra attenzione è stata calamitata da quello che ci sembrava l’ingresso ad un tempio seppure un po’ sopra le righe.

 

Abbiamo attraversato per controllare, ma tutt’attorno c’erano solo grattacieli e nessuna traccia visibile di templi, per cui abbiamo supposto di esserci sbagliate e che magari era l’ingresso di un qualche hotel e siamo andate oltre.
Devo dirvelo. Era l’ingresso dell’Eko-in che solo dopo ho scoperto trovarsi più avanti, nascosto dietro ai grattacieli. Se ci penso adesso mi mangerei ancora le mani dalla rabbia per essere arrivata così vicina e non averlo visto.
L’unica consolazione è che almeno sulla via di ritorno in hotel ho trovato un grazioso negozietto che ha colmato la voglia di melonpan che mi era rimasta dalla mattina.




Vi lascio i link alle precedenti giornate di viaggio se vi andasse di leggerle:
Giorno 1: prime impressioni su Tokyo
Giorno 2: una giornata da principessa
Giorno 3: quando gli dèi accettano solo monete da 5 yen
Giorno 4: perdiamoci insieme!
Giorno 5: l'isola artificiale di Odaiba
Giorno 6, parte 1: il quartiere dei templi di Asakusa 

Commenti

  1. Sarò a Tokyo tra Marzo e Aprile, e sto leggendo con interesse i tuoi resoconti :) Grazie!

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    1. Grazie a te per leggere e commentare :) Spero davvero che quello che scrivo possa esserti utile per il tuo viaggio. Se avessi qualche domanda o dubbio non esitare a chiedere.

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