Giorno 8: Tokyo, dal 1868 ad oggi. Kimono, battaglie e panda

Quando si hanno tante cose da fare e poco tempo per farle può capitare che qualcosa sfugga di mente. Dopo un’intera giornata di code tra Harajuku, Shibuya e Roppongi, eravamo tornate in hotel stanchissime e questo ha comportato un fatale errore di cui ci siamo accorte solo l’indomani mattina al nostro risveglio. Non avevamo comprato nulla per colazione!
Magari può sembrare una sciocchezza, ma io sono una che  la mattina ha bisogno di fare colazione appena si alza, altrimenti non carbura. Avevamo preso l’abitudine di comprare la sera prima al conbini qualcosa da mangiare per la colazione dell’indomani, scoprendo una varietà infinita di latte macchiato a prezzi modici, dal gusto uno migliore dell’altro, tanto che c’era presa la mania di provarne uno diverso ogni mattina. Se a questo aggiungiamo che ero diventata praticamente una drogata di anpan (panini cotti al vapore ripieni di marmellata di fagioli rossi), alzarsi la mattina e non avere niente da mettere sotto i denti è stato traumatico.



Abbiamo deciso però che dovevamo rifarci andando a fare colazione direttamente in una bakery. Non so se le avete presente, ma in Giappone ci sono queste panetterie stile francese, che sono una gioia per gli occhi e per le papille, in cui ci si serve da soli, prelevando dai vari scaffali, il pane che si vuole acquistare. La scelta è davvero ampia, e riuscire a decidere cosa comprare è stato davvero difficile.


Riempito finalmente lo stomaco ci siamo dirette a prendere il treno che ci avrebbe condotte alla stazione di Tokyo. Essendo quello il nostro ultimo giorno dedicato alla visita della capitale nipponica, abbiamo pensato bene di cominciarlo andando a recuperare una delle attività che avevamo programmato quando siamo state a Marunouchi e che poi non avevamo avuto il tempo di fare.
Raggiunta la stazione,  siamo passate dall’Ufficio informazioni. Lì abbiamo recuperato un depliant con una mappa per raggiungere la nostra meta e poi ci siamo incamminate in direzione JNTO (Japan National Tourism Office).  Se vi state chiedendo perché proprio l’Ufficio del turismo fosse una meta del nostro viaggio assolutamente recuperare ve lo spiego con due parole: Kimono Gratis!
Nonostante la mappa in mano trovare il JNTO non è stato così immediato, abbiamo sbagliato strada più volte perché gli edifici sembravano tutti uguali e non ci raccapezzavamo molto con i numeri delle vie. Mentre eravamo ancora sperse abbiamo visto una ragazza giapponese venirci incontro e invitarci a entrare in quello che a occhio e croce era proprio l’Ufficio che cercavamo da un pezzo. Credo che il compito della ragazza fosse quello di attirare turisti stranieri per fargli provare le loro attività, difatti aveva iniziato tutta una tiritera per convincerci, quando si è accorta che avevamo in mano il depliant del JNTO e ha capito che non c’era motivo di sforzarsi, eravamo venute apposta.
Una volta dentro ci hanno chiesto a quale attività volevamo prendere parte. Tra le varie opzioni c’erano anche l’origami (arte di piegare la carta), il furoshiki (arte di piegare la stoffa) e la calligrafia. Abbiamo detto che volevamo provare i kimono, per cui ci hanno accompagnato ad uno scaffale pieno di stoffe coloratissime. C’era davvero l’imbarazzo della scelta ma il mio occhio è caduto su alcune foto poste sullo scaffale . Tra di loro ce n’era una dove una ragazza aveva indosso un tipo insolito di kimono. Ho chiesto allora se potevo provare quello, sicura che non mi sarebbe più capitata l’occasione di trovarne uno simile. La ragazza che ci aveva accolte si è molto stupita della mia scelta, spiegandomi che si trattava di un hakama, e che doveva chiamare la sua superiore, in quanto, essendo un modello che fino ad allora nessuno aveva mai richiesto, lei stessa non sapeva come si indossasse.
L’hakama è in pratica un kimono che era in uso tra le studentesse come uniforme scolastica nel periodo Meiji Taisho (1868-1926). Esso era inizialmente un tipo di indumento indossato solo dagli uomini, ma a partire da metà ‘800 è diventato di moda anche tra le donne e sono nati dei modelli femminili. Tutt’oggi a volte lo si indossa per le cerimonie di laurea.
Arrivata la superiore, lei e la ragazza mi hanno aiutato a indossare l’hakama, mentre un’altra ragazza aiutava mia sorella con lo yukata che aveva scelto. In realtà la parte superiore dell’hakama è esattamente uguale ad uno yukata, l’unica differenza sta nella parte inferiore. Invece di usare il classico obi per legare lo yukata alla vita, esso viene accorciato, piegandolo su sé stesso, e bloccato con un obi di tipo maschile e la gonna-pantalone. Per pura casualità quel giorno indossavo anche delle scarpe simili nel colore e nella forma a quelle che si usavano con questo tipo di indumento, per cui il mio outfit è risultato impeccabile senza bisogno di troppi sforzi. Mia sorella invece ha ricevuto dei geta da usare al posto delle sue scarpe (scomodi da far paura per quello che mi ha detto).
Una volta finita la vestizione ci hanno scattato un’istantanea con alle spalle una parete piena di ventagli coloratissimi e ci hanno chiesto da dove venissimo al fine di attaccare la foto su una mappa del mondo che avevano in ufficio. Sulla mappa difatti c’erano istantanee di tutte le persone che avevano visitato il JNTO e provato i kimono. L’ho trovato una cosa davvero molto carina. Abbiamo lasciato anche noi un segno del nostro passaggio scrivendo il nostro nome sulla foto e il nostro Paese di provenienza.



Ci hanno poi chiesto di compilare un questionario di gradimento e ci hanno consegnato degli adorabili ombrellini di carta, lasciandoci libere di andare all’esterno a scattarci delle foto. Sono state davvero molto gentili e cortesi.




È un vero peccato che il JNTO si trovi in una zona così moderna di Tokyo. Se vicino ci fosse stato qualche edificio antico o un tempio, il tutto sarebbe stato ancora più suggestivo. È stato comunque molto divertente ed un’esperienza che consiglio, soprattutto visto che, come ho già detto,  è tutto gratuito. Se qualcuno ha per caso guardato i prezzi che ci sono ad Asakusa o a Kyoto per affittare un kimono può capire bene perché sottolineo la cosa.
Svestiti i kimono e ripreso possesso delle nostre cose, siamo andate a riprendere il treno per raggiungere la seconda meta della giornata: Ueno.
Dalla stazione di Tokyo arrivate a Ueno in 5 min prendendo la JR Yamanote line oppure la JR Takasaki line.
La stazione di Ueno è il regno delle cose pandose. Tutti i negozi al suo interno vendevano oggetti, cibo e souvenir a tema panda. Impossibile non innamorarsi a prima vista e rischiare di fare il fuori tutto.





Quando siamo giunte poi, era già l’ora di pranzo, per cui iniziavamo ad avere di nuovo fame.  Alla fine ci siamo limitate a fare solo un piccolo acquisto per la colazione dell’indomani (un tortino con stampato sopra un panda) e abbiamo deciso di andare a cercare un posto per mangiare.


La varietà di meravigliose torte esposte in stazione ci aveva fatto venire voglia di dolci, quindi quale posto migliore per pranzare se non Sweet Paradise?
Sweet Paradise è una catena di ristoranti con formula a buffet, famosa soprattutto per i dolci. Il locale con sede a Ueno, quando siamo state noi, aveva una collaborazione in attivo per festeggiare il 25esimo anniversario di Sonic, per cui tutto il ristorante era decorato secondo questo tema.


All’ingresso una ragazza dello staff ci ha aiutate ad acquistare da una macchinetta la formula buffet che più ci interessava. C’erano varie opzioni per cui cambiava il prezzo in base a se volevi includere le bevande o meno e a quanto tempo volevi rimanere. Noi abbiamo preso la formula base per due, cioè 80 min bevande escluse. Questo perché, come in tutti i ristoranti giapponesi, l’acqua e il tè sono gratuiti per cui non ci sembrava necessario ordinare altro da bere. 
Scelto il nostro tavolo abbiamo cominciato a passare in rassegna il buffet. La parte dei piatti salati sembrava una tavolata delle feste di compleanno, nel senso che non c’erano dei veri e propri piatti (fatta eccezioni per il riso al curry che tra l’altro era niente male) ma una sfilza di panini imbottiti, patatine e crackers. Da una parte ho visto anche degli spaghetti ma sinceramente ho preferito non tentare la sorte.
Il buffet di dolci invece era tutta un’altra storia. Due ripiani pieni di ogni ben di Dio. Torte di ogni gusto e forma, pasticcini, zuppa inglese, gelatine, mochi e una cascata di cioccolato fuso in cui intingere i marshmallow. Ci siamo riempite i piatti per assaggiare ogni prelibatezza.



Chiaramente siamo uscite da lì rotolando. Poco male, avevamo ancora 3 settimane di viaggio per smaltire, cominciando da subito, per cui ci siamo rimesse in marcia.
Attraversato il mercato di Ameya Yokocho con i suoi negozietti tipici, siamo infine arrivate al Parco di Ueno.
 

Si tratta di un grande parco cittadino, particolarmente famoso per l’hanami (andare a vedere la fioritura dei ciliegi) che ingloba al suo interno vari templi, santuari, musei e perfino uno zoo.
Esso sorge su quella che fu la proprietà terriera del tempio Kaneiji, un importante complesso buddista che nel periodo Edo contava 36 edifici e molti templi affiliati. La maggior parte di essi venne distrutta durante la guerra Boshin, precisamente nella battaglia di Ueno del 1868, che vide coinvolte due fazioni contrapposte, da una parte lo Shogitai, cioè le truppe a difesa dello shogun Tokugawa Yoshinobu (che si era confinato all’interno del tempio Kaneiji), dall’altra le truppe guidate dall’ufficiale militare Saigo Takamori a favore della Restaurazione  Imperiale, le quali ottennero la vittoria.
All’ingresso del Parco (almeno quello dal quale siamo entrate noi), ci siamo subito ritrovate davanti la statua di Saigo Takamori. Alta 3.63 m, la statua ci ha subito colpito per la scelta insolita di sviluppo del soggetto. Voglio dire, si tratta di un generale che ha avuto un ruolo di primo piano nel quadro della Restaurazione Meiji, per cui ci aspettavamo una raffigurazione in cui si mettesse a fuoco una figura autoritaria e carismatica, non so, tipo la statua di Yi Sun Shin, il famoso comandante della flotta coreana, che si trova in piazza Gwanghwamun a Seoul.

Yi Sun Shin © thingLink
Il samurai di Satsuma  è stato invece rappresentato mentre porta a passeggio il cane. Il motivo di tale scelta non è dato sapere. Avrà anche con sé una katana, ma chi direbbe mai, da questa raffigurazione, che quel signore dall’aria bonaria era un guerriero?

Saigo Takamori
Poco più avanti si trovava anche un monumento funebre dedicato ai soldati Shogitai, davanti al quale erano stati lasciati dei fiori. È stata una sensazione davvero strana, camminare in quel luogo ai nostri occhi così tranquillo e pieno di vita, e pensare che era stato un sanguinoso campo di battaglia, che proprio sotto i nostri piedi erano morte tantissime persone.


Dopo la fine della Guerra Boshin, si era pensato di trasformare la zona in un complesso ospedaliero. Fu poi deciso, nel 1873, di trasformarla in un parco, al fine di inglobare al suo interno gli edifici del Kaneiji sopravvissuti alla distruzione della battaglia, in modo da renderli fruibili ai cittadini.
Tra questi edifici vi erano il Kyomizu Kannondo, il santuario Toshogu con la sua pagoda a 5 piani e il Kaneiji jishodo, la campana del tempo.
Abbiamo proseguito la visita proprio dal Kyomizu Kannondo. Costruito nel 1631, esso custodisce un’immagine sacra di Kosodate Kannon, dea della fecondazione, per cui è molto popolare tra le donne che vogliono avere un figlio.


Ciò che mi ha più colpito di questo santuario è stato il fatto che fosse costruito a strapiombo sulla collina.
Il Parco di Ueno difatti è stato realizzato su due livelli, quello superiore dove ci trovavamo noi, e uno inferiore dove si trova lo stagno di Shinobazu.
Il Kyomizu Kannondo si trova sul livello superiore, ma dal padiglione principale del santuario parte un ponte in legno che si affaccia su quello inferiore, con una struttura che ricorda quella del Kyomizudera di Kyoto.



Da questa terrazza si ha una bella vista del tempio Bentendo che compare tra i rami degli alberi, ancora di più se si guarda attraverso lo Tsuki no matsu, una sorta di cerchio, realizzato da giardinieri specializzati, piegando i rami di un pino che si trovava di fronte al santuario.



Esso esisteva già nel periodo Edo tanto che Hiroshige Utagawa gli dedicò due delle sue famose “Cento Vedute di Edo” realizzate con l’ukiyo-e.


Utagawa Hiroshige "Ueno Kiyomizu-dou Shinobazu-no-ike" (National Diet Library collection)
© taito-culture.jp
Attirate dalla vista, abbiamo deciso quindi di scendere al livello inferiore. Dopo una breve passeggiata siamo giunte al tempio dedicato alla dea Benten, da sempre legata all’acqua e per questo vicino al laghetto del parco. Di fronte ad esso un altro tempietto, il Daikokuten, dedicato alla divinità omonima.



L’architettura del Bentendo, ad un primo sguardo, mi ha subito ricordato il Pantheon. A dispetto della facciata, che faceva supporre il contrario, esso è di fatto un edificio a base ottagonale.


All’interno del tempio si stava svolgendo una cerimonia religiosa per cui, incuriosite, ci siamo asperse con l’incenso in segno di rispetto e siamo entrate.  Un monaco inginocchiato stava recitando quelle che suppongo fossero delle preghiere, mentre colpiva ritmicamente il tamburo di fronte a lui. Alle sue spalle delle signore seguivano la funzione.


Tra di esse una giovane donna (o almeno così sembrava vista di spalle) vestita con un abito grigio, se ne stava seduta. La cosa curiosa era che sullo sgabello accanto a lei c’era un orsacchiotto con un abito totalmente coordinato al suo.


La cosa ci fece molto ridere al momento, pensando si trattasse di una persona molto eccentrica, poi però ci venne il dubbio se non si stesse svolgendo una commemorazione del figlio morto e quello magari fosse il suo giocattolo preferito. Purtroppo non capendo nulla di ciò che il monaco diceva, è stato impossibile dire quale delle due opzioni era la più plausibile.
A seguire siamo infine arrivate allo stagno di Shinobazu. Lo stagno era totalmente ricoperto di foglie di loto, un vero peccato che la maggior parte di esse fosse secca. Ci è dispiaciuto non avere la possibilità di vederlo in agosto, durante la fioritura, quando sicuramente doveva essere di una bellezza incredibile. Oltre al loto però, i veri padroni dello stagno erano gli animali che lo abitavano. Anatre, e soprattutto gigantesche carpe nere in numero spropositato che mi hanno terrorizzato a morte. A causa del loro colore, difatti, non le avevo notate subito, per cui ho allungato una mano per toccare una foglia di loto e all’improvviso ne ho viste apparire a centinaia che, boccheggianti, sporgevano la testa fuori dall’acqua. Come potrete immaginare ho fatto un salto indietro di 2 metri.



Superato il trauma delle carpe assassine ci siamo dirette verso il laghetto delle barche. Il molo era pieno di spassosissimi pedalò a forma di cigno. Ero già partita alla conquista di quello rosa, quando mia sorella mi ha bloccato, affermando con disgusto: “Ma vuoi salire su quel coso?”


Mi sono sentita tanto stupida che ho deciso di rinunciare.
Siamo quindi risalite al livello superiore del parco e abbiamo proseguito il giro da dove avevamo lasciato. Ci siamo quindi ritrovate davanti a una fila di piccoli torii. Volevo scattare una foto ma proprio in quel momento un furgone mi si è parcheggiato davanti. Un po’ infastidita l’ho aggirato per poter ottenere la mia foto, ma mi sono ritrovata davanti un via vai infinito di persone, con divise da ristorante, che continuavano a scaricare scatoli dal furgone e poi si dirigevano lungo il viale tracciato dai torii. Quel quadro per me totalmente assurdo era per loro probabilmente una routine quotidiana.


Attraversati anche noi i torii, siamo arrivate a due piccoli, carinissimi santuari, l’ Hanazono Inari e il Gojoten e subito dopo a un’enorme campana appesa sotto un porticato rosso.

Hanazono Inari

Gojoten


Di fronte alla campana, dall’altro lato della via, una piccola pagoda.

 

Stavo per salire le scale per vederla da vicino, quando ho visto mia sorella correre in direzione opposta. Non capendo cosa fosse successo l’ho seguita, vedendola poi atterrare, felice come non mai, su un’ aiuola di fronte ad un ristorante, e scattarsi un selfie con la riproduzione (tra l’altro pure brutta) di un panda. E poi ero io quella da biasimare perché volevo salire sulla barca a cigno.



Iniziando a farsi sera si era alzato un vento gelido e fortissimo, che ha messo a dura prova la nostra resistenza alle basse temperature, ma abbiamo deciso comunque di proseguire il giro perché volevamo almeno riuscire a vedere il santuario Toshogu.
Il santuario Toshogu risale al 1616 ed è dedicato a Tokugawa Ieyasu. Un imponente torii ne indicava l’ingresso. Ci siamo passate attraverso per percorrere un viale segnato ai lati da numerose lanterne di pietra. L’atmosfera che c’era in quel luogo era completamente diversa da qualunque posto visitato prima.



La prima cosa che ha attirato la nostra attenzione, alla fine del viale, sono state delle coloratissime gru di carta poste su un monumento alla nostra destra. Si trattava di un memoriale per la pace dedicato alle vittime di Hiroshima e Nagasaki. Al centro del monumento una colomba, simbolo di pace, custodiva una fiammella, monito perché una tragedia simile non accada mai più. Le gru, simbolo di impegno e speranza per il futuro, erano state portate dai fedeli del santuario.


Il padiglione principale era di una bellezza incredibile. Ricoperto d’oro e riccamente decorato, era circondato da 50 lanterne in bronzo, donate al santuario da vari daimyo nel periodo Edo.



Una meravigliosa pagoda a 5 piani svettava tra le fronde degli alberi.


Lasciato il santuario a malincuore, ci siamo dirette verso la zona del parco dove si trovava lo zoo, il più antico del Giappone a quanto pare. Purtroppo era chiuso, quindi niente panda giganti. Mia sorella c’è rimasta piuttosto male.
Ci siamo spostate quindi verso la zona dove c’erano le vasche con i getti d’acqua per fare ancora un giro. 


Pessima idea, perché causa vento ci siamo ritrovate zuppe dalla testa ai piedi e più infreddolite di prima. Abbiamo quindi deciso che si, era proprio il momento di rientrare in hotel. L’indomani d’altronde si sarebbe finalmente attivato il nostro JRP e per cominciare bene avevamo deciso (ok, io avevo deciso, mia sorella era molto contrariata da questa cosa) che la sveglia avrebbe suonato alle 4.00. Verso una nuova meta.

Se non l'avete ancora fatto, vi invito a leggere le precedenti avventure durante la nostra settimana a Tokyo:
Giorno 1: prime impressioni su Tokyo
Giorno 2: Tokyo, una giornata da principessa
Giorno 3: Tokyo, quando gli dèi accettano solo monete da 5 yen
Giorno 4: Tokyo, perdiamoci insieme!
Giorno 5: Tokyo, l'isola artificiale di Odaiba
Giorno 6,parte 1: Tokyo, il quartiere dei templi di Asakusa
Giorno 6, parte 2: Tokyo, il quartiere del sumo di Ryogoku
Giorno 7: Tokyo, file e folla 

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