Giorno 22: prime impressioni su Osaka

Se New York è una mela e Tokyo è un melograno, Osaka è un cachi. Esteriormente è poco accattivante. Non è moderna come Tokyo, anzi a guardare bene tutto sembra un pò vecchio, ma non abbastanza vecchio da essere tradizionale come Kyoto. Continui a guardare senza capire e ti chiedi se valga la pena di dargli un morso. A vederla così Osaka non sembra molto interessante. Poi lo addenti e la sua consistenza gelatinosa ti lascia perplessa, guardi Osaka dall'interno delle sue strade cercando di coglierne il senso ma esso ti sfugge completamente, come la polpa del cachi che si disperde tra le dita. Eppure è dolce, così dolce e succoso che finisci per dare un morso dietro l'altro, e non ti fermi fino alla fine. Di Osaka in qualche modo si finisce per amare tutto, anche ciò che pensi non dovrebbe piacerti, alla fine ti lascia un sapore dolce in bocca e tu non puoi fare a meno di sorridere.

© Asian Wanderlust
Era il nostro ventiduesimo giorno di viaggio. Non potevamo ancora sapere cosa ci avrebbe riservato questa nuova città.
Avremmo lasciato definitivamente Kyoto da lì a poche ore, ma anzitutto c'era ancora un'ultima missione da compiere prima della partenza.
Il giorno della visita al Castello di Nijo (vedi qui) difatti, avevamo attraversato una via commerciale ricca di negozi. Tra le tante vetrine, una aveva attirato subito la nostra attenzione. Quello che sembrava un antiquario teneva esposti due set da tè in stile tradizionale giapponese. Il regalo perfetto per nostra madre ci si era presentato davanti agli occhi e ad un prezzo così ridicolmente basso che stentavamo a crederci. Dovendo affrontare ancora tutte le visite della giornata, avevamo deciso di non comprarlo allora, ma piuttosto segnarci la posizione del negozio, per ritornarci.
Così, dopo una fermata al conbini, al cui tavolo abbiamo fatto colazione con un bubble tea, abbiamo ripreso la via commerciale alla ricerca dell'antiquario.


Lo abbiamo trovato subito, come anche il set che avevamo adocchiato qualche giorno prima. La teiera e le sue 10 tazzine in stile giapponese presentavano una decorazione floreale e un haiku (poesia breve) dipinto sopra. E pensare che tutto questo costava solo 18 euro. Nel negozio più economico visitato fino ad allora un set composto da una teiera e due tazzine costava intorno ai 45 euro. Il prezzo era così basso che continuavo a pensare che dovesse per forza esserci una fregatura nascosta da qualche parte. Siamo entrate speranzose ma sospettose allo stesso tempo. Il negozio era piccolo ma pieno zeppo di cose, una marea di cianfrusaglie accatastate l'una sull'altra, come in un magazzino.
 
© maripelomundo.com.br

In fondo alla stanza un omino smilzo se ne stava dietro al bancone, osservandoci con un sorriso ricolmo di panico. Conversare fu impossibile. La vendita è avvenuta solo a gesti. Ad ogni nostro tentativo di parola il negoziante continuava a strabuzzare gli occhi confuso. Ricordo le sue mani tremanti mostrarci l'integrità di tutti i pezzi e poi tentare di impacchettare nuovamente il set con estrema difficoltà, senza riuscirci completamente. Lo abbiamo dovuto impacchettare di nuovo noi di ritorno a casa per prendere le valigie per evitare che si rompesse durante il trasporto. Nonostante tutto il prezzo era davvero quello, non un centesimo in più, nemmeno l'IVA. Avevamo appena concluso l'affare del secolo.
 

E fu dunque così che ci ritrovammo con due valigie grandi, un trolley, due zaini, la reflex, un ombrello e un set da tè a prendere l'autobus e poi il treno sulla JR Tokaiko Sanyo line che da Kyoto ci avrebbe portate ad Osaka.
Il nostro hotel si trovava vicino la fermata JR Tsuruhashi, per cui una volta giunte alla stazione di  Osaka abbiamo dovuto prendere la JR Loop line per raggiungerla. Peccato che quel giorno tutti i treni diretti lì fossero in ritardo. Abbiamo aspettato una ventina di minuti buoni, vedendoci sfrecciare davanti vari convogli (tra cui quello di Harry Potter --> pubblicità degli Universal Studios) prima che arrivasse il nostro.


Messo finalmente piede a Tsuruhashi, indovinate qual'è stata la prima cosa che ci siamo trovate davanti? Un negozietto di taiyaki. Erano 22 giorni che li stavo cercando. Potevamo non fermarci?


Capirete bene che Tsuruhashi è diventato subito il mio quartiere del cuore di Osaka. Continua ad esserlo tutt'ora nonostante le ore interminabili che ci ho perso dentro senza riuscire ad uscirne. La stazione è un labirinto, non perchè sia grande, bensì perchè è un'agglomerato di stradine strabordanti ristoranti di yakiniku che si incastrano tra loro fino a formare un groviglio di cui è difficile trovare l'uscita. Quel primo giorno ci abbiamo passato dentro una buona mezz'ora, nonostante ciò era tutto così colorato e caratteristico che non si può serbarne un cattivo ricordo.

© GaijinPot blog
Se di brutti ricordi vogliamo parlare, lo è stata più che altro la strada per raggiungere il nostro hotel, che era ad "appena" 30 min a piedi dalla stazione. Trascinarsi dietro le valigie per quella strada in salita è stato un incubo. Quando siamo arrivate alla meta eravamo devastate. La receptionist vedendoci in quello stato deve essersi impietosita e ci ha fatto entrare in stanza nonostante mancasse ancora un'ora all'inizio del check-in.
Ci ha accolto una stanza enorme, come non ne vedevamo da secoli. Lasciate le nostre cose all'ingresso, ci siamo tolte le scarpe e fiondate sul letto.
Alla ricerca di una sistemazione economica a Osaka, avevamo scelto di soggiornare in un aparthotel. Era un hotel a tutti gli effetti ma gestito come una casa, cioè dal momento in cui si entrava in stanza le pulizie, come rifarsi il letto o buttare la spazzatura, erano a proprio carico. Il personale puliva gli spazi comuni, e solo al cambio di ospiti le stanze.



Nonostante la stanchezza accumulata il nostro stomaco borbottava, per cui siamo dovute per forza uscire per mangiare qualcosa. Durante il tragitto verso l'hotel avevamo incontrato tantissimi ristoranti, tra cui anche vari simil-italiani. Avevamo solo l'imbarazzo della scelta, eppure c'era solo una cosa che volevamo mangiare: l'okonomiyaki. Eravamo ad Osaka, se non lì, dove?


Avremmo fatto prima a scegliere un altro posto, visto era già tardi e molti ristoranti erano già chiusi, ma ci eravamo tanto intestardite che abbiamo finito con il pranzare alle 16.00 solo dopo aver scovato dentro uno spassosissimo centro commerciale un ristorante di okonomiyaki che fosse ancora aperto.

Interno del centro commerciale


Tutto quel girovagare alla ricerca del ristorante ci ha però permesso di iniziare a prendere confidenza con la città. Dopo venti giorni in Giappone, di cui 14 a Tokyo, ci sentivamo di aver ormai iniziato a capire come funzionano le cose nel Paese del Sol Levante. Certi meccanismi, certe regole, si erano ormai impresse nella nostra mente e le seguivamo quasi automaticamente, senza farci più nemmeno caso. L'arrivo ad Osaka ci ha però costretto a estirpare ogni concetto imparato fino ad allora e ad imparare da capo.

Vista di Osaka © temblor.net
Ogni dato che davamo per certo su Tokyo non valeva per Osaka. Questa città è davvero un mondo a parte che poco o niente ha a che vedere con il resto del Giappone che avevamo visitato.
Dopo tanto tempo passato ad abituarci a stare a sinistra sulle scale mobili per dare la possibilità a chi ha fretta di superare, a Osaka, tranne in caso di affollamento dove comunque stanno a destra invece che a sinistra, ognuno faceva un po' come voleva. Solo in rari casi ci è capitato di vedere file ordinate sulle scale mobili.

© Hawaiian South Shore

Lo stesso vale per gli attraversamenti pedonali. Ormai abituate ad aspettare il verde per attraversare anche se in giro non c'era nessuno, a Osaka abbiamo visto tantissimi giapponesi attraversare con il semaforo rosso come se niente fosse. Sembrerà strano, ma a momenti ho pensato che Osaka assomigliasse più all'Italia, nel bene e nel male.

© non so che fare blog

Le persone mi sono sembrate estremamente calorose e con molta voglia di chiacchierare, a prescindere dalle barriere linguistiche. Siamo state fermate più volte per strada o in ascensore da signore giapponesi che incuriosite dai nostri volti occidentali hanno iniziato a intavolare una conversazione, nonostante le chiare difficoltà che avevamo noi a capire la loro lingua e loro la nostra.
Tokyo e Osaka sono come due sorelle, all'apparenza si somigliano ma in realtà non potrebbero essere più diverse. Tokyo è moderna ed elegante, raffinata anche negli eccessi, Osaka è accogliente e rumorosa, divertente e a tratti pacchiana, ma è proprio quello il suo fascino. Osaka sorride a tutti ed è impossibile sentirsi fuori luogo tra le sue braccia.

Il quartiere di Shibuya a Tokyo
Il quartiere di Dotonbori a Osaka
Dopo il pranzo tardivo eravamo finalmente pronte per scoprire la città, così ripresa la Loop line siamo scese alla fermata JR Osakajo-koen, la più vicina al Castello di Osaka. Il castello si trova all'interno di un enorme parco ed è circondato da un fossato.
 

Il parco è davvero smisurato. Dalla fermata della metro si riesce subito ad intravedere il castello, posto in una posizione sopraelevata, ma anche se vi sembrerà vicino vi assicuro che ci metterete almeno 15 minuti prima di raggiungerlo.
 

Un lungo ponte permette di attraversare il fossato, quando lo avrete individuato significa che siete quasi arrivati, vi manca solo la salita verso il castello.


Noi siamo arrivate che era già chiuso per cui non abbiamo potuto visitare l'interno. L'esterno però è molto caratteristico ed immediatamente riconoscibile. Se la struttura difatti è simile a quella di molti altri castelli giapponesi, le decorazioni architettoniche in oro hanno qualcosa di unico.


Costruito nel 1583 per volontà di Toyotomi Hideyoshi, divenne presto il simbolo del clan Toyotomi, in lotta contro il crescente potere di Tokugawa Ieyasu, il quale, una volta sconfitti i rivali, ampliò il castello e lo trasformò nella propria base militare.


Una cosa che mi è piaciuta molto del Castello di Osaka è proprio la posizione nella quale si trova. Isolato e circondato da uno spazio ampio non edificato, permette una bella vista sulla città e sui suoi grattacieli in lontananza. Così succede che con solo ruotarsi di 180 gradi si passa dalla Osaka tradizionale e il suo castello al moderno skyline della città.


Ripresa la Loop line siamo scese nuovamente a Tsuruhashi, dirigendoci a piedi verso la Korea Town di Osaka. Se la Korea Town di Tokyo era tutta negozi di k-pop e cosmetici, la Korea Town di Osaka era piena di negozietti di alimentari e vestiti tradizionali coreani. Questo lo so perchè l'ho visto su Google Maps. Quando siamo arrivate difatti era già troppo tardi e tutti i negozi erano già chiusi. Un po' me l'aspettavo ma abbiamo voluto fare comunque un tentativo. L'unico segno evidente di essere nel luogo giusto era il portale d'accesso all'area e uno striscione di benvenuto raffigurante un personaggio femminile in hanbok.



Abbiamo fatto un giro per le stradine semi buie, ma presto abbiamo desistito. Nonostante ciò Korea town è riuscita comunque a strapparci un sorriso e tanta voglia di ritornare. Dietro la vetrina di uno dei pochissimi negozi illuminati se ne stava un robot dall'aria aggressiva (non so perchè mi ha subito portato alla mente quando da piccola guardavo Terminator insieme a mio padre), con teschi ai piedi e in mano un cavolo e del kimchi.
 

Era la cosa più ridicola e pacchiana mai vista, ma proprio per questo l'abbiamo amata. Durante tutta la nostra permanenza, Osaka ci ha regalato così tante meraviglie nonsense di questo genere che, nonostante il poco tempo per goderci la città, ce ne siamo follemente innamorate.
Osaka è sicuramente un luogo da vivere nella sua quotidianità e a cui dedicare del tempo per scoprirne i vicoli. Nuove decadenti meraviglie vi strapperanno un sorriso ad ogni angolo. Noi l'abbiamo scelta principalmente come base per gli spostamenti e le visite alle città vicine, ma devo dire che rimpiango un po' non aver mai avuto una giornata intera di viaggio da dedicargli. 
Nonostante gli abbia concesso solo ritagli del mio tempo, è riuscita comunque a rubarmi un pezzetto di cuore.
Abbiamo lasciato Korea Town distrutte ma felici, concludendo la serata in un fast food giapponese vicino l'hotel, mangiando pollo fritto e katsudon. Ad attenderci l'indomani c'era la visita di Nara.



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