Giorno 3: Tokyo, quando gli dèi accettano solo monete da 5 yen

Il nostro terzo giorno in Giappone doveva cominciare di buon’ora. La giornata doveva essere tutta dedicata alla visita di santuari e luoghi di interesse storico-artistico nei quartieri di Ochanomizu e Iidabashi, accompagnate da un’altra amica giapponese, Yumi. Peccato che, dopo due giorni senza nessun sintomo, gli effetti del jet lag hanno scelto proprio quella mattina per iniziare a farsi sentire ( e noi che pensavamo di averla scampata 😅), per cui non siamo proprio riuscite ad alzarci presto. Il risultato? Siamo arrivate con ben un’ora di ritardo al nostro appuntamento e abbiamo avuto anche il piacere di sperimentare l’ora di punta dei treni in Giappone e le famose carrozze per sole donne.


Non che sia un problema stare in una carrozza mista finchè nessuno inizia a palpeggiarti, ma appena vista la scritta a terra, siamo state immediatamente attratte verso di essa, curiose di vedere se davvero sarebbero salite solo donne sulla carrozza. Quando però la carrozza è arrivata sembrava talmente piena che non eravamo sicure di riuscire a salire nonostante fossimo le prime della fila, ma, visto l’enorme ritardo accumulato, abbiamo deciso di provarci lo stesso. Sembravamo starci appena, per cui ho pensato che le persone dietro di noi  avrebbero preso il treno seguente, invece hanno cominciato a spingere per entrare a loro volta, e non so come ci siamo ritrovate a metà vagone spiaccicate come sardine, tra borse conficcate nei fianchi e puzza di sudore, senza alcuna possibilità di respirare, né di aggrapparsi a qualcosa. Un massacro insomma. Ho ringraziato il cielo che la nostra meta fosse a sole due fermate di distanza.
Prima tappa: Ochanomizu e il santuario Kanda Myojin.
Per arrivarci prendete la JR Chuo line da Akihabara, è a una sola fermata di distanza, e dalla stazione si arriva al santuario con una passeggiata di dieci minuti.
Il quartiere è molto carino, e a quanto pare è anche uno dei più ricchi di Tokyo, ma noi non abbiamo avuto molto tempo per ammirarlo, visto eravamo in ritardo, per cui ci siamo dirette il più velocemente possibile al santuario.


Davanti al torii di colore chiaro all’ingresso dell’area sacra del santuario ci aspettava Yumi. L’abbiamo raggiunta scusandoci innumerevoli volte per il ritardo e abbiamo così iniziato la visita.


Yumi ha subito tenuto a specificare che si trattava di un santuario shintoista (perché io nella mia ignoranza le avevo detto incontriamoci davanti al tempio Kanda Myojin) difatti ci sono alcune caratteristiche architettoniche che differenziano in modo sostanziale i templi buddisti dai santuari shintoisti.
Tutti i santuari shintoisti presentano un portale d’ingresso detto torii e delle corde intrecciate dette shimenawa  fatte di canapa e paglia di riso che possono  trovarsi appesi agli edifici del santuario o attorno agli alberi e hanno il compito di delimitare l’area sacra. Ad esse sono solitamente appesi gli shide, strisce di carta di forma simile a una saetta.
I templi buddisti invece hanno un portale d’accesso di solito più monumentale del torii detto mon con ai lati delle statue che hanno il compito di cacciare gli spiriti maligni, ma queste a volte possono trovarsi anche nei santuari, per cui l’unica cosa che può darvi l’assoluta certezza di trovarvi in un tempio é la presenza della statua di Buddha.
Il santuario Kanda Myojin ci ha colpito immediatamente per l’architettura meravigliosa,  i suoi colori accesissimi e la grande quantità di stranezze al suo interno, tra cui una carrozza trainata da un cavallo finto, un gelataio con il suo negozio situato dentro uno dei padiglioni del santuario, e un piccolo pony (vero) che scalciava dentro un recinto. Abbiamo poi scoperto che il tutto faceva parte dei preparativi per festeggiare lo Shichi-go-san (7-5-3), un rito che si svolge il 15 novembre e che celebra il passaggio dei bambini di 3, 5  e 7 anni in queste tappe importanti della loro vita.



Lo stesso pony, che era una lei, e rispondeva al nome di Akari, aveva uno scopo ben preciso. Era il cavallo sacro messo a disposizione per gli dei nel caso avessero voglia di uscire dal santuario.


Yumi ci ha spiegato il rituale da compiere ogni volta che si entra in un santuario: per prima cosa ci si inchina di fronte al torii, perché esso rappresenta la soglia tra mondo divino e mondo terreno; poi per purificarsi, ci si lava le mani, prima la destra poi la sinistra, e infine la bocca, nel chozuya, la fonte all’ingresso di ogni santuario; infine ci si reca al padiglione principale dove, dopo aver lanciato un’offerta da 5 yen ci si inchina due volte, si battono le mani due volte per segnalare la propria presenza alla divinità, e si prega. Finita la preghiera ci si inchina di nuovo e si va via, senza dimenticarsi di inchinarsi ancora all’uscita dell’area sacra di fronte al torii.



Non avendo ancora dimestichezza con le monete giapponesi, trovandomi davanti al padiglione principale, avevo pensato bene di prendere una moneta a caso, ma Yumi si è prontamente raccomandata che fossero 5 yen, non 1, 10 o 100 ma esattamente 5 yen. Il motivo è presto detto: a quanto pare 5 yen, che in giapponese si dice go-en, ha lo stesso  suono di una parola composta formata da “go” che è un prefisso che indica rispetto, ed “en” che significa legame. Per questa ragione si pensa che questa moneta aiuti a stabilire una buona relazione con la divinità.
Un’altra caratteristica di questo santuario che mi ha spinto a volerlo visitare è la grande quantità di disegni presenti sugli ema, le tavolette votive in legno che i credenti acquistano per scriverci sopra i loro desideri e che poi appendono in un luogo specifico del santuario affinchè gli dei le leggano.
Sembrava come se tutte le persone con buone capacità artistiche del mondo fossero venute a pregare in questo santuario, perché tutti gli ema erano ricoperti di meravigliose figure in stile manga.


Dopo aver comprato qui il primo souvenir del nostro viaggio, un o-mamori (amuleto) che protegge dalle malattie da dare a nostra nonna, ci siamo dirette verso la seconda tappa della giornata, lo Yushima Seido, un tempio confuciano che si trova a 5 min a piedi dal santuario Kanda Myojin. È un luogo molto tranquillo e poco frequentato dai turisti.
Noi siamo arrivate al tempio entrando, per sbaglio, dall’uscita, per cui ci siamo perse l’effetto sorpresa del padiglione principale che appare dopo le scale. Ciò che ci ha colpito immediatamente è stato l’assoluto silenzio del luogo, completamente deserto, e l’insolito colore blu scuro/nero della struttura. La maggior parte dei templi e santuari in Giappone, difatti, è caratterizzata dal colore rosso. Dava l’idea di un luogo misterioso e affascinante e a essere sincera più che un tempio sembrava il palazzo di un uomo d’alto rango come quelli che si vedono nei film storici.



Abbiamo percorso la strada per arrivare al padiglione principale al contrario, scendendo la grande scalinata circondata da alti alberi e arbusti, fino ad arrivare ad un secondo padiglione simile al primo ma più piccolo, e poi ad uno spiazzo in mezzo al verde circondato da una bassa recinzione fatta di canne nel quale si ergeva un’enorme statua rappresentante Confucio.  La statua faceva un certo effetto per cui il mio istinto è stato quello di fotografarla, ma mi sono limitata a farlo da lontano, pensando di mostrarmi ligia alle regole non oltrepassando la recinzione. Poi ho visto Yumi superare la recinzione con tanta nonchalance da sentirmi incredibilmente stupida.


Continuando a scendere siamo infine arrivati al portale d’accesso, con una splendida decorazione rossa su vernice nera e delle sculture in legno che ricordavano degli elefanti (o forse si trattava dei baku, i tapiri della mitologia giapponese che divorano gli spiriti malvagi che causano gli incubi?). Tutt’attorno l’area sacra era circondata da alte mura che ricordavano un po’ quelle dei castelli. Nonostante si noti che tutto il complesso sia stato ricostruito e restaurato di recente, il luogo, forse per l’assenza assoluta di altre persone, mantiene una sorta di misticità difficile da trovare in altri templi a Tokyo.



La giornata stava diventando sempre più fredda e uggiosa per cui, prima di cambiare quartiere per dirigerci verso la meta successiva, abbiamo deciso di fare una pausa da Starbucks per bere qualcosa di caldo. So che a molti sembrerà impossibile ma per me quella è stata la mia prima volta da Starbucks, per cui ero tutta esaltata di ricevere il mio primo bicchiere con collare da caffè annesso e con su scritto il mio nome. Ovviamente non è successo niente del genere, il collare c’era ma niente nome intendo. In compenso ho bevuto il mio primo matcha latte ed era davvero delizioso e soprattutto caldo, il che ci voleva proprio vista la giornata fredda.


Un’altra cosa che ho notato e che mi ha lasciato un po’ perplessa sono stati i bagni. Ce ne era uno per le donne e uno misto per uomini e donne. Yumi non ha saputo darmi spiegazioni a riguardo ma mi ha detto è una cosa molto comune in Giappone. Forse per evitare le classiche lunghe code al bagno delle donne hanno dato a loro l’accesso anche al bagno degli uomini?
Finita la pausa caffè abbiamo ripreso il treno per andare a Iidabashi per proseguire il nostro giro direzione Koishikawa Korakuen, uno tra i giardini più belli che ho visitato in Giappone. Ci siamo arrivati prendendo nuovamente la Jr Chuo line e poi con una breve passeggiata a piedi. Grazie alla guida di Tokyo che avevamo con noi e che potete trovare in qualunque ufficio turistico in Giappone, in aereoporto o farvela mandare a casa contattanto il JNTO tramite il loro sito, abbiamo potuto avere uno sconto sul biglietto d’ingresso. La guida è disponibile in diverse lingue tra cui l’italiano.
Appena entrate ci siamo trovate di fronte un laghetto, che a quanto pare non può mai mancare nei giardini giapponesi, ed era il fulcro di tutto il giardino che gli si sviluppava attorno. Abbiamo cominciato il giro imboccando una stradina che si inoltrava tra gli alberi che ci ha portato a un secondo laghetto più piccolo ricoperto di foglie di loto da cui si intravedeva sullo sfondo la cupola del Tokyo Dome, lo stadio dove gioca la squadra di baseball nazionale, gli Yomiuri Giants  e dove si sono tenuti molti dei concerti di famosi gruppi giapponesi e non, tra cui gli Arashi. Mi sarebbe davvero piaciuto andarlo a vedere visto eravamo tanto vicini ma non ne abbiamo avuto il tempo. Il nostro programma era tanto fitto e Yumi si è presa tanto a cuore questa cosa di portarci in tutti i luoghi che avevamo concordato che ci ha fatto saltare il pranzo perché altrimenti non avremmo fatto in tempo a vedere tutto. Poco male, dopo l’abbuffata del giorno prima un giorno di digiuno ci poteva anche stare.




 
Proseguendo per il sentiero ci siamo ritrovate di nuovo al laghetto principale ma stavolta dal lato opposto da cui si poteva  vedere un ponticello bianco e più in là un isolotto al centro del lago dove si trovava quello che credo fosse un tempietto di colore rosso.



Più avanti abbiamo trovato una casetta con il tetto di paglia che all’interno nascondeva una porticina che dava sul retro che ha subito attirato la nostra attenzione, ma niente di interessante vi era aldilà di essa.



Infine siamo giunte a uno dei luoghi più suggestivi del giardino, il ponte della Luna piena, risalente al periodo Edo.


Pensavo che il giardino fosse pressoché finito qui ma si è rivelato molto più grande di quanto mi aspettassi. Dopo il ponte siamo arrivate ad un tempietto in legno e poi ad un ponte rosso (Tsuten-kyo) che attraversava un fiumiciattolo immerso tra la vegetazione e ancora ad un altro laghetto con una sorta di passerella che sono stata tentatissima di attraversare, ma ahimè era vietato quindi niente.




Siamo finalmente giunte quasi di nuovo all’ingresso quando ci ha raggiunte un’amica di Yumi, Mikou. Abbiamo proseguito insieme per i pochi tratti di giardino che ancora non avevamo visto e poi ci siamo dirette verso la meta successiva. Mi sono sentita abbastanza in colpa nei suoi confronti perché ha pagato il biglietto per entrare ma non ha visto praticamente niente del giardino.


Siamo arrivate al santuario Yasukuni al tramonto, abbiamo appena fatto in tempo ad entrare che già siamo dovute andar via a causa dell’orario di chiusura. Anche qui ci siamo inchinate all’entrata, davanti all’immenso torii in acciaio e bronzo, ci siamo purificate nel moderno chozuya e abbiamo lasciato i nostri 5 yen al padiglione principale.  Ho fatto qualche foto in giro e sono riuscita anche a scorgere un gruppo di negi (sacerdoti shintoisti) per cui ho cercato di immortalarli ma un signore molto antipatico mi ha bloccato dicendo che era vietato scattare foto nel santuario. Yumi si è molto stupita della cosa perché di solito fare foto è concesso ma probabilmente è dipeso dal fatto che proprio lo Yasukuni ha una storia piuttosto controversa che tutt’oggi crea non poche tensioni politiche. Esso difatti, è il santuario per la Pace Nazionale che commemora i caduti in guerra ma a partire dal 1979 ha commemorato anche 14 criminali della Seconda Guerra Mondiale. In base alla scelta dei leader politici giapponesi, di volta in volta in carica, di fare la visita annuale del 15 agosto, giorno della sconfitta del Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale, ci sono state tensioni e controversie politiche con i paesi asiatici confinanti che sono stati vittime di crimini giapponesi, soprattutto Corea del Sud e Cina.





Alla chiusura del santuario ci siamo dirette verso il quartiere di Kagurazaka, un vecchio quartiere delle geisha che mantiene ancora intatto, almeno in parte, il fascino suggestivo di allora, soprattutto se ci si discosta dalla via principale e ci si perde tra le viuzze. Ho scoperto l’esistenza di questo quartiere grazie al drama giapponese Haikei, chichiue-sama con protagonista Nino degli Arashi e me ne sono subito innamorata.
Lo si raggiunge facilmente dal santuario Yasukuni prendendo la Tozai line alla fermata Kudanshita e scendendo alla fermata Kagurazaka.
Nel quartiere sono presenti anche alcuni santuari  e templi poco conosciuti che abbiamo visitato.
Il santuario Akagi  si trova vicinissimo alla stazione e nonostante l’orario lo abbiamo trovato aperto. Di nuovo abbiamo dovuto rifare il solito rituale di inchino e lancio dei 5 yen che a me iniziava un po’ a scocciare. Sapere come si fa è interessante, ma doverlo rifare ogni volta, soprattutto se in un giorno si visitano molti santuari finisce con il diventare fastidioso. In primo luogo perché è un gesto fatto senza valore se non si crede davvero nella divinità che si sta pregando e poi, voglio dire, quante monete da 5 yen si dovrebbe avere dietro? I miei 5 yen sono bell’è finiti già al primo santuario per cui mi sono vista costretta a gettare soldi con più alto valore monetario e minor auspicabile capacità di ingraziarmi la divinità.
Anche in Italia, per esempio, essendo io un’appassionata d’arte, mi è capitato di visitare molte chiese, ma non per questo ogni volta che entravo andavo dritta al fonte battesimale (tralasciando il fatto che spesso è senz’acqua) mi bagnavo le dita e mi facevo il segno della croce. E sinceramente non ho più visto nessuno farlo dai tempi in cui a 6 anni andavo in chiesa con mia nonna. 
Il santuario era molto moderno e piccolo, con una via illuminata da alte lanterne rosse. Ci siamo arrivate che pioveva fitto e faceva un freddo terribile e io riuscivo solo a pensare che volevo andare a mangiare visto eravamo digiune dalla colazione. Nonostante ciò Yumi e Mikou sembravano orgogliose di poterci mostrare ogni angolo di Giappone, per cui le abbiamo lasciate fare.



Visitato anche questo santuario ci siamo dirette verso la via principale che collega la stazione di Kagurazaka a quella di Iidabashi. È una via molto viva, piena di negozi, ristoranti e izakaya. L’abbiamo percorsa fino ad arrivare al, grazie al cielo, ultimo edificio sacro della giornata, lo Bishamonten Zenkoku. Lo avevo già visto nel drama di Nino che ho citato sopra, per cui mi faceva piacere visitarlo, ma ci siamo arrivati dopo una giornata tanto spossante che ho quasi sperato che fosse chiuso. Ovviamente era aperto. Ma perché tutti gli edifici sacri del Giappone chiudono al tramonto tranne che quelli di Kagurazaka?
Abbiamo per l’ennesima volta ripetuto il solito rituale ma, una volta entrate nel padiglione principale, ci siamo ritrovate davanti una statua di Buddha che ci ha lasciate tutte basite. Ma non era un santuario? A quanto pare no. Si trattava di un tempio, anche se la sua architettura lasciava supporre il contrario. D’altronde abbiamo avuto il piacere di scoprire durante il resto del nostro viaggio che questo tipo di commistioni tra shintoismo e buddismo che si riflette nell’architettura non è così raro in Giappone, per cui capita anche di entrare in un tempio buddista e di trovarci dentro anche un santuario shintoista e viceversa.



La serata si è conclusa in un’izakaya, i tipici pub giapponesi. Abbiamo lasciato ordinare le ragazze perché non sapevamo bene cosa prendere, così abbiamo condiviso una serie di spiedini tutti con diversi tipi di carne, un’insalata con lattuga, mela e radice di loto e un invitantissimo nabe, una pentolona che si pone su di un fornello al centro del tavolo dove si metteno a cuocere in un brodo vegetale (dashi di solito) verdure, carne e pesce. Nel nostro caso solo carne perché l’izakaya era specializzato in quello. Abbiamo accompagnato il tutto con un sakè consigliatoci dal cameriere. Ero talmente affamata che, fatta eccezione per il sakè, ho dimenticato di fare le foto,  per cui ve ne lascio qualcuna dal sito del locale.


© Sumitora (Gurunavi)


Se volete avere maggiori informazioni sui luoghi visitati per organizzare il vostro viaggio andate a leggere gli approfondimenti:
Kanda Myojin
Yushima Seido
Koishikawa Korakuen
Yasukuni-jinja

Vi lascio anche i link ai primi due giorni di viaggio, nel caso ve li foste persi:
Giorno 1: prime impressioni su Tokyo
Giorno 2: Tokyo, una giornata da principessa

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