Giorno 5: Tokyo, l'isola artificiale di Odaiba
Nell’immaginario collettivo, trovandosi di fronte ad una foto della Statua della Libertà si pensa subito a New York, la grande mela, e agli Stati Uniti in generale, di cui essa è simbolo di liberazione e indipendenza.
Non
nel mio caso. Essendo la mia testa sempre un po’ fuori dagli schemi, la prima
cosa a cui ho sempre pensato vedendo la Statua della Libertà è stata Odaiba e a
quanto mi sarebbe piaciuto trascorrere un’intera giornata nel quartiere dell’isola artificiale che si
affaccia sulla baia di Tokyo.
Odaiba
è come un grosso parco divertimenti all’aperto, potresti starci tutto il giorno
e non stancarti mai per tutte le cose da fare e vedere, e la Statua della
Libertà è solo una delle attrazioni. In realtà quella di Odaiba è solo una
delle tante repliche che si trovano in tutto il mondo ed è di dimensioni molto
più ridotte rispetto a quella americana. Sembra che sia stata donata dalla
Francia al Giappone nel 1998, come augurio per proseguire i loro fruttuosi
rapporti commerciali, e che vista l’immediata popolarità ottenuta, il governo
abbia deciso di sostituirla con una copia nel 2000, forse per evitare di
danneggiare l’originale.
Si
arriva ad Odaiba prendendo la Yurikamome, una linea ferroviaria automatizzata,
cioè senza conducente, che dì per sé è già un’esperienza nuova da provare.
Odaiba
era sicuramente il quartiere di Tokyo che più fremevo per visitare, per
svariati motivi.
Primo tra tutti, neanche a dirlo, il fatto che qui è ambientata buona parte della saga Digimon. So che sembro una fanatica, e vi assicuro che questo non è l’unico motivo, ma per me è stato un grosso incentivo ad approfondire l’interesse per questo quartiere. A chi ha visto la serie non può di certo essere sfuggita la somiglianza incredibile tra i luoghi dell’anime e quelli reali. E per chi volesse farsi un’idea invito a visitare questa pagina http://marron.extracaffeine.com/odaiba/page2.html che ha tutta la mia ammirazione per il lavoro svolto, perché solo un vero fan sarebbe stato capace di tanta dedizione e meraviglia. Cliccate sui digivice presenti sulla mappa per accedere alle pagine che mettono a confronto la geografia dell’isola.
Primo tra tutti, neanche a dirlo, il fatto che qui è ambientata buona parte della saga Digimon. So che sembro una fanatica, e vi assicuro che questo non è l’unico motivo, ma per me è stato un grosso incentivo ad approfondire l’interesse per questo quartiere. A chi ha visto la serie non può di certo essere sfuggita la somiglianza incredibile tra i luoghi dell’anime e quelli reali. E per chi volesse farsi un’idea invito a visitare questa pagina http://marron.extracaffeine.com/odaiba/page2.html che ha tutta la mia ammirazione per il lavoro svolto, perché solo un vero fan sarebbe stato capace di tanta dedizione e meraviglia. Cliccate sui digivice presenti sulla mappa per accedere alle pagine che mettono a confronto la geografia dell’isola.
Siamo
arrivate ad Odaiba in tarda mattinata perché tanto tutti i posti che volevamo
vedere non aprivano prima delle 11.00, e ci siamo subito dirette verso il molo
nel tentativo di farci il miglior selfie possibile con la Statua della Libertà.
C’era parecchio vento nonostante la giornata fosse soleggiata, per cui farsi il
selfie del secolo non è stato semplice, perché dovevamo combattere
contemporaneamente con il vento che ci scompigliava i capelli e il sole negli
occhi. Dopo vari tentativi, tra un “mettiti più in là” e un “rifacciamola sono
venuta uno schifo in questa foto”, siamo riuscite anche a fare la prima figura
canina della giornata, quando un ragazzo, seduto su una panchina di fronte alla
statua, dopo averci guardato male per un pezzo, ci ha rivolto la parola con
aria di sufficienza chiedendoci : “Siete italiane vero?”. Per la serie queste
due sceme potevano venire solo dal mio stesso Paese, ci credo che poi intorno
al mondo pensano che gli italiani sono tutti cretini.
È stato
anche il primo italiano incontrato durante il viaggio, il primo di una lunga
serie, a dimostrazione che il Giappone è diventato una meta tra le più
gettonate anche nel nostro Paese.
Dopo
aver scambiato due chiacchiere abbiamo cercato di avvicinarci ancora alla riva
per poter vedere meglio il Rainbow bridge, all’interno del quale eravamo
passati in precedenza con la Yurikamome, uno dei simboli del quartiere, che si
erge bianco sul mare, con uno sfondo di grattacieli e la Tokyo Tower a
completare il panorama.
Quando
siamo arrivate, attraccato alla riva abbiamo trovato l’Hotaluna, un traghetto
dal design futuristico che collega il quartiere di Asakusa a quello di Odaiba
via mare. La particolarità sta nel fatto che il design di questo mezzo è stato
creato dal mangaka di Galaxy Express 999 e Capitan Harlock, Matsumoto Leiji, per
ricordare quello di una nave spaziale.
Dopo
aver fatto le foto di rito ci siamo infine dirette verso la prima meta vera a
propria della giornata, il Decks. Il Decks è un centro commerciale per
definizione, ma in pratica non ha niente di simile ai centri commerciali come li
conosciamo noi. Già al primo sguardo dà l’idea di un parco divertimenti un po’
retrò. Un’infinità di bandierine
colorate che pendono dal soffitto, sale giochi stile primi anni ’90, una marea
di cianfrusaglie ovunque, una riproduzione di una stazione ferroviaria e
persino una casa dei fantasmi.
Come
se questo non bastasse ecco comparire davanti ai nostri occhi anche la mascotte
del villaggio dei takoyaki che con tanto di mantello a mo’ di capitano
coraggioso, si ergeva sulla sua nave, carica di takoyaki, e con sulla prua un
polipo rosso come polena.
Oltre
all’ambientazione surreale ciò che ci aveva convinto a mettere il Decks tra i
luoghi da visitare è stato il fatto che al suo interno si trovano anche alcuni
musei molto particolari, tra cui anche il Madame Tussauds di Tokyo. Non avendo
abbastanza tempo per girarceli tutti ne abbiamo selezionato solo uno, quello
che secondo noi era il più carino, insolito e divertente: il Tokyo Trick Art
Museum.
Di
cosa si tratta? È una sorta di museo delle illusioni in cui si può interagire
con le opere d’arte. La prima volta che ne ho sentito parlare è stato in un
articolo riguardo un museo dello stesso genere che si trova a Seoul e visto
sembrava una cosa spassosissima ci siamo dette che dovevamo assolutamente
provarlo.
Il
museo che abbiamo visitato noi era strutturato in 3 sezioni principali: una
dedicata alla vita nel periodo Edo, una in cui ci si trovava in una casa infestata
da fantasmi del folklore giapponese e infine la galleria di quadri vera e
propria.
All’ingresso
ci hanno accolte delle ragazze carinissime vestite con una divisa che ricordava
un po’ i kimono tradizionali, che ci hanno spiegato come funzionava il museo.
In pratica è necessario essere almeno in due perché mentre una persona
interagisce con l’opera, l’altra deve scattare la foto.
All’interno
della casa infestata poi c’è il plus di dover trovare i passaggi segreti per
riuscire ad uscire, non che fossero poi così introvabili ma ha aggiunto ancora
più divertimento al tutto.
Accanto
ad ogni soggetto c'erano dei pannelli con scritto come è meglio interagire con
essi, ma sono solo suggerimenti, ognuno può dar sfogo alla creatività come
meglio crede. Insomma è un po’ una sfida a chi riesce a fare la posa più
ridicola, e io modestamente credo di essere stata una professionista in questo,
che aggiunto alle mie inesistenti capacità recitative, hanno fatto una combinazione insuperabile. Ma lascio giudicare voi.
Allora
che ne pensate? A mia discolpa sull’ultima foto, posso dire che è stata un’impresa riuscire a
prendere quella posizione. Mi sono quasi rotta un braccio e ho pure contribuito
alla pulizia di tutto il pavimento. Nonostante tutto i miei sforzi si sono
rivelati vani.
Io “terrorizzata” dal cavallo che mi viene addosso 😑 |
Io che con pathos da attrice tragica fuggo da una ruota infuocata con tanto di faccia |
Qui credo di aver dato davvero il meglio di me… un’attrice consumata |
Notate qualche somiglianza? |
Con questa ho vinto l’Oscar |
Mia
sorella invece è su un altro livello, lo so.
Lasciato
il museo un po’ a malincuore (non me ne volevo più andare dopo aver provato
l’ebbrezza di calcare le scene) siamo andate a pranzo in un ristorante di
tonkatsu (cotoletta di maiale fritta). Esposti all’esterno c’erano vari set tra
cui scegliere per cui mia sorella ha optato per un tonkatsu classico mentre io
ho preso un set con verdure e gambero fritto per il solo scopo che nel set era
incluso il chawanmushi e io dovevo assaggiarlo.
Ovviamente
faceva schifo. Che mi aspettavo da una sorta di budino di uovo cotto al vapore
con all’interno un fungo, un gamberetto e una foglia di spinaci?
A
parte il budino il resto era molto buono, fatta eccezione per la zucca fritta
che continuo ad odiare perché decisamente troppo pastosa.
Finito
il pranzo ci siamo dirette verso la più ambita meta della giornata, la Fuji tv.
Si tratta di un edificio che attira subito l’attenzione per la particolarità
della sua architettura, progetto di Kenzo Tange, fatta di pieni e vuoti, e per la presenza di
una sfera in cima, all’interno della quale si trova un osservatorio a 270°
sulla baia di Tokyo. Proprio la sua
architettura avveniristica è stata il motivo che ci ha spinte a visitarla.
La Fuji tv infatti è l’emittente televisiva
che ha trasmesso la serie Digimon e compare in moltissime scene dell’anime
(pubblicità “non proprio” occulta?), ma anche Onepiece, molti drama coreani (che noi adoriamo 😍) e cosa più importante,
continua a trasmettere vs Arashi.
vsArashi
è un programma televisivo condotto dagli Arashi, uno dei gruppi jpop che
seguiamo, nel quale i 5 membri del gruppo più uno o due ospiti affrontano un
team avversario (composto di solito dal cast di un drama che sta andando in
onda in quel periodo o di chiunque altro famoso che abbia bisogno
di pubblicizzare quello che sta facendo) in delle prove di abilità per lo più
fisiche ma anche strategiche. È una sorta di giochi senza frontiere insomma, e
vi assicuro che è uno spasso.
Per
prima cosa siamo saliti al piano 7, dove ci sono le terrazze, attraverso la
scala mobile. Il design dell’edificio è davvero bello, e la scala mobile passa
attraverso una sorta di tubo trasparente che ti permette di ammirare la sfera,
che caratterizza l’edificio, dal basso ma in modo più ravvicinato.
A
quel piano avremmo dovuto trovare il ristorante di Onepiece, Baratie, e altri
negozi, ma tutto sembrava chiuso e il
ristorante smantellato. Lavori in corso? Chi può dirlo. L’unica traccia
tangibile relativa a Onepiece che abbiamo trovato è stata la presenza delle
statue di Rufy e Chopper e una testa di ariete gigante che se non ricordo male
era la polena della nave, ma potrei sbagliare (scusate, non seguo Onepiece).
In
compenso le terrazze erano molto carine, con delle aree verdi e una bella vista
sulla ruota panoramica di Odaiba. Inoltre abbiamo anche trovato un pannello che
pubblicizzava vsArashi per cui ci siamo ritenute soddisfatte.
Siamo
ridiscese al piano 5 per entrare nella Wonderstreet, una via in cui sono
raccolti cartelloni e cimeli dei programmi che hanno reso famosa l’emittente.
All’ingresso c’erano delle televisioni che riproducevano ciò che stava andando
in onda in quel preciso momento (a quanto pare la pubblicità per uno
spazzolino) e a seguire la via, decorata
con dei carinissimi finti alberi che dalla parete si sviluppavano lungo il
soffitto, cartelloni riguardanti gli show più noti della rete. La maggior parte
di essi non li conoscevo nemmeno ma è stato comunque carino interagire e
scattarsi foto con i vari cartelloni e giochi. Ce n’era persino uno con una
macchina a forma di orologio che dovevi riuscire a battere a “sasso, carta,
forbice”.
C’era
anche tutta una parte dedicata agli SMAP, un famoso gruppo jpop che non ho mai
seguito molto, ma comunque conosco perché ha realizzato la sigla di uno dei
miei anime preferiti. Non sto parlando di Digimon, state tranquilli.
Visto
comunque erano volti a noi noti non abbiamo potuto esimerci dall’immortalarci
nel loro bistrò.
Finiti
i cartelloni è iniziata la serie di tutti i cimeli, anche qui roba sconosciuta,
almeno a noi. Iniziavamo a disperare di riuscire a trovare qualcosa sui nostri
cantanti preferiti quando, quasi alla fine della via, ci siamo ritrovate
davanti un pannello enorme dedicato a vsArashi con tanto di statua. Meraviglia.
Peccato che siamo dovute andar via quasi subito, difatti un altoparlante ci ha
informate dell’imminente chiusura. Giusto quando avevamo trovato quello che
stavamo cercando. La solita sfiga.
Abbiamo
fatto appena in tempo a scattare una foto di rito con la mascotte, e abbiamo
proseguito verso il Divercity, un altro centro commerciale, al fine di
aggirarlo e vedere finalmente il Gundam.
Non
siamo fan della serie per cui non gli abbiamo dedicato molto tempo, ma devo
ammettere che con l’imbrunire, la ruota panoramica sullo sfondo e i passanti ai
piedi, il Gundam faceva un certo effetto, un guerriero irto a protezione
dell’umanità.
Abbiamo
sorvolato anche sullo spettacolo di luci offerto dalla Fuji tv, visto era ormai
buio, e ci siamo dirette spedite lungo il viale, verso la ruota panoramica,
per goderci al meglio la vista notturna.
Non
sapevamo bene come raggiungerla ma visto sembrava fosse costruita sul tetto del
Venus fort siamo entrate nel centro commerciale. L’interno era la ricostruzione perfetta del
centro storico di una qualunque città italiana, con strade dai nomi italiani,
cupolone e fontana con statue. Il soffitto poi era realizzato in una sorta di
trompe l’oeil per dare l’idea di trovarsi in un luogo aperto, con un cielo
azzurro sulla testa.
La
cosa assolutamente carina è che c’era un particolare gioco di luci in tutto il
centro commerciale che dava l’idea che candidi fiocchi di neve cadessero
dall’alto. Abbiamo scoperto solo in seguito che si trattava di uno spettacolo
realizzato appositamente in vista del Natale (nonostante fossimo ancora agli
inizi di Novembre) in collaborazione con la Disney e il film Frozen.
Proseguendo
dentro l’edificio ci siamo poi trovate in una specie di museo d’auto d’epoca in
cui addirittura per ogni auto era riprodotto il contesto storico-geografico di
provenienza. Sfido qualunque italiano che passi da lì
a non sentire il bisogno di immortalare la mitica Fiat 500 tra panni stesi,
muri che cadono a pezzi e negozi di primizie.
Dalle
auto d’epoca e l’ambiente soffuso del museo siamo passate quasi di colpo a uno
store Toyota con gli ultimi modelli di auto in commercio realizzati con
tecnologie innovative dove tutto riluceva come cosparso di diamanti.
Quando
ormai pensavamo di aver sbagliato strada, ecco comparire all’uscita della
concessionaria l’enorme ruota panoramica che stavamo cercando.
Bisogna
fare il biglietto da una macchinetta e si può scegliere tra due tipi di cabina,
quella colorata o quella trasparente. Ovviamente la trasparente costa di più.
Abbiamo optato per la colorata visto non eravamo sicure di sentirci a nostro
agio non avendo nulla sotto i piedi. La scelta si è poi rivelata ottima in
quanto ci ha permesso di saltare buona parte della fila. La maggior parte degli
altri presenti difatti aveva scelto le cabine trasparenti, ma essendo queste in
numero inferiore rispetto a quelle colorate, mentre molti erano ancora in
attesa del loro turno, noi eravamo già passate avanti perché
le nostre erano libere.
La
vista della città di notte era incredibile, da mozzare il fiato. Milioni di
luci in tutte le direzioni, grattacieli altissimi, linee ferroviarie e strade
costruite l’una sull’altra sembravano librarsi elegantemente sull’acqua.
In lontananza, caratterizzati dai loro colori contrapposti, bianco e rosso, il Rainbow bridge e la Tokyo Tower facevano capolino.
In lontananza, caratterizzati dai loro colori contrapposti, bianco e rosso, il Rainbow bridge e la Tokyo Tower facevano capolino.
Non
sarei più voluta scendere. Il giro è sembrato durare troppo poco.
Ancora
estasiata dal panorama visto, sono stata distratta da una Fanta alla pesca che
diceva “Comprami” da dentro un distributore,
posto strategicamente all’uscita della ruota panoramica. Provarla è
stato d’obbligo, capire che c’è un motivo se in Italia vendono solo quella
all’arancia, è stata la conseguenza.
Essendo
ormai buio, abbiamo ripreso la Yurikamome e siamo scese alla fermata Telecom
Center, per poter infine andare a rilassarci all’Oedo Onsen Monogatari, un parco
a tema che riproduce un impianto termale del periodo Edo. Il costo
dell’ingresso è ridotto a partire dalle 18.00.
All’entrata
non c’era nessuno ad accoglierci, per cui non sapevamo bene cosa fare, ma dopo
un primo momento di disorientamento, abbiamo iniziato a guardarci intorno e a
copiare spudoratamente quello che facevano gli altri.
Per
prima cosa abbiamo risposto le scarpe in degli armadietti all’ingresso, poi ci
siamo dirette scalze verso il fondo della stanza. Ci siamo trovate davanti ad
un bancone nel quale era possibile scegliere tra diversi tipi di yukata (abito
tradizionale estivo giapponese) e di obi (la fascia di tessuto che lega lo
yukata alla vita). Fatta la nostra scelta ci è stato consegnato anche una sorta
di braccialetto con codice a barre con all’interno la chiave dell’armadietto
dove riporre le nostre cose.
Entrate
all’interno dello spogliatoio femminile ed individuati i nostri armadietti, ci
siamo cambiate indossando lo yukata. C’erano alcuni cartelli che spiegavano
come fare, per cui non è stato troppo difficile. La parte peggiore è stato
sicuramente riuscire a legare l’obi senza uno specchio. Dopo vari tentativi
infruttuosi, abbiamo seguito alcune ragazze che avevamo visto avere il nostro
stesso problema, le quali ci hanno condotte a una stanza con una serie di
specchi e vari oggetti per sistemarsi i capelli. Mentre alcune ragazze si
pettinavano e asciugavano i capelli, uno specchio era stato letteralmente
sequestrato da un gruppo di ragazze che poste in fila ordinata aspettavano il
loro turno per sistemarsi l’obi davanti alla superficie riflettente. Che altro
fare? Ci siamo messe in fila anche noi.
Una
volta pronte siamo infine entrate all’interno dell’area comune. L’ambiente era
davvero molto carino e allegro. Avevo letto molte recensioni negative in
proposito perché in molti si aspettavano un onsen tradizionale e si sono
ritrovati di fronte un’ambientazione palesemente finta e poco credibile. Il
punto è che non si tratta di un onsen, ma di un parco a tema con annesse vasche
termali. Anche i parchi Disney hanno un castello al loro interno, ma nessuno ci
rimane male perché il castello non è vero. Qui è un po’ la stessa cosa, tutto
dipende dall’aspettativa.
Dopo
aver gironzolato tra i vari stand e bancarelle, abbiamo notato un’area con
tatami e tavoli bassi neri. Era possibile avere del tè verde gratuito da
prepararsi da sé, per cui ci siamo servite e siamo andate a sederci. Dopo un
po’ che stavamo lì abbiamo notato che tutte le persone sedute avevano ordinato
da mangiare. A quanto pare in realtà quella zona era collegata con uno dei
ristoranti del parco per cui solo i commensali potevano sedersi e bere il tè.
Poco male, ormai il danno era fatto. Visto non avevamo intenzione di ordinare
ci siamo alzate, non prima di aver finito le nostre tazze, e ci siamo dirette
all’esterno per provare le vasche per i piedi.
Se
volete sapere riguardo all’onsen vero e proprio purtroppo devo darvi una brutta
notizia. Non l’abbiamo provato. Alcuni inopportuni "parenti dalla Russia" sono
venuti a trovarci proprio in quel periodo per cui non ci è sembrato il caso di
farli entrare con noi all’onsen. All’inizio avevamo pensato di rimandare
direttamente la visita al parco a tema ma ci complicava troppo il programma di
viaggio, per cui abbiamo deciso di andare lo stesso in quanto avremmo comunque
avuto la possibilità di provare un ofuro, per di più tradizionale, in futuro,
in due diverse tappe del viaggio. Ok non è proprio la stessa cosa, ma ci si
accontenta.
Davanti
alla porta che dava sull’esterno si trovava un appendiabiti con delle giacche
arancioni sempre in stile tradizionale, per ripararsi dal freddo. Le abbiamo indossate
e ci siamo dirette fuori. La zona era caratterizzata da salici e altre piante
verdi e tra un albero e l’altro vi erano attaccate alcune lanterne di carta che
illuminavano soffusamente il cielo notturno, regalando all’acqua termale
riflessi colorati.
Il primo impatto dei piedi nudi sul pavimento
gelido è stato terribile, ci ha fatto subito correre a mettere i piedi
nell’acqua calda. L’acqua era incanalata con la forma di un fiumiciattolo,
lungo i cui argini erano posizionati dei sedili in legno.
Abbiamo
trovato un posticino libero dove sederci rimanendo con i piedi a mollo e ci
siamo godute la sensazione rigenerante dell’acqua sui piedi stanchi dal tanto
camminare. Ho trovato piacevole persino la sensazione delle pietre appuntite
sotto la pianta dei piedi, almeno finchè non mi sono alzata per uscire.
Camminarci sopra con tutto il peso del mio corpo è stata una tortura senza
eguali, come camminare su un tappeto di chiodi.
Nuovamente
all’interno, siamo andate a svaccarci al secondo piano dove si trovavano una
serie di stanze con delle poltrone comodissime dove potersi sdraiare, ognuna
con un televisore incorporato. Tra una canzone e l’altra del programma tv Music
Station sono riuscita anche ad addormentarmi per circa un quarto d’ora.
Dopo
il riposino ci è venuta fame per cui siamo riscese nella sala comune per
cercare un ristorante con poca fila dove mangiare. Perché per quanto la fila
sia spesso in Giappone sinonimo di buon cibo, io sono contraria a fare le file
per principio, in quanto la mia accidia vincerà sempre sulla mia gola.
Ci
siamo decise per un ristorante di ramen. Abbiamo ordinato un ramen di carne e
uno di pesce e ci è stato dato un’aggeggino che avrebbe suonato nel momento in
cui il nostro ordine fosse stato pronto. Abbiamo preso posto ad un tavolo e
poco dopo le nostre ciotolone fumanti sono arrivate. Non so come fossero i
piatti dei ristoranti con fila ma i nostri erano davvero buoni. Avendo ancora
un piccolo spazio nello stomaco ci siamo concesse anche un gelato al tè verde
da dividere in due. Per ogni acquisto effettuato il codice a barre del
braccialetto veniva scannerizzato, in modo da accreditare tutto sul conto che
abbiamo pagato all’uscita.
Intorno
alle 22.00 abbiamo lasciato l’Oedo Onsen e abbiamo ripreso il treno per tornare
in hotel e in quell’occasione abbiamo fatto una bella scoperta che tutt’oggi è
una delle cose che più mi manca del Giappone.
Ricredetevi
voi che pensate che i water tecnologici giapponesi siano la scoperta del
secolo. In fondo cosa sono essi se non un bidet incorporato in un gabinetto? Per
quanto meno tecnologici e separati l’uno dall’altro anche noi in Italia abbiamo
entrambe le cose.
È
infatti un’altra cosa ad avere per me il primato... qualcosa che i
giapponesi hanno e che nessun treno italiano al momento è in grado di offrirci.
Uscite
dall’onsen, forse anche a causa dello sbalzo di temperatura tra interno ed
esterno, ci ha colpito un freddo polare che ci ha gelato fino alle ossa.
Abbiamo atteso qualche minuto l’arrivo del treno e siamo salite. Fortunatamente
non c’era molta gente su quella tratta per cui abbiamo potuto sederci.
Un’incredibile torpore ha iniziato ad avvolgerci da dentro. Una meravigliosa
sensazione di calore ci ha coccolate per tutto il viaggio. Non mi sarei mai
voluta alzare e ho desiderato che la nostra fermata non arrivasse mai.
I sedili riscaldati signori, questa si che è
l’invenzione del secolo. Non che ci volesse tanto ad arrivarci o che sia quale
invenzione innovativa, ma perché allora in Italia non ci sono? Perché nessuno
ha ancora capito che il calore si diffonde meglio per contatto? D’altronde da noi dobbiamo già essere grati
quando il riscaldamento sui treni funziona.
Comunque,
giusto per spezzare una lancia anche in favore dei sostenitori dei water
giapponesi, e dei loro rivenditori, non sia mai che pensino che stia
svalutando il loro business. Anche i water giapponesi hanno un pregio: la
tavoletta riscaldata.
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